LA CONVOCAZIONE
Il punto di vista di Freda
Mentre mi dirigevo verso la sala riunioni del branco, incrociai alcuni licantropi, ma mi guardarono tutti con disprezzo. Sospirai pesantemente e li ignorai del tutto. Ormai ci ero abituata, quindi non era il momento di mettermici a pensare. Il mio unico obiettivo era scoprire perché fossi stata convocata e tornare in camera mia il più in fretta possibile a crogiolarmi nella mia miseria.
Raggiunsi la sala riunioni e vidi che i licantropi del nostro branco stavano affluendo in massa. Non era una riunione di famiglia come avevo pensato all'inizio, ma un'assemblea per l'intero branco. Rimasi all'ingresso, indecisa se saltare l'incontro, ma dubitavo fortemente che il mio paparino avrebbe apprezzato la mia disobbedienza. All'improvviso, un maschio particolarmente grosso mi spinse di lato.
«Sta' attenta, smidollata» disse Hector, il figlio del Beta, con una risata odiosa. Ritrovai l'equilibrio e lo fulminai con lo sguardo. Lui mi osservò con un sorriso irritante stampato in faccia.
«Non sono io quella le cui dimensioni sono pari solo alla sua mancanza di autoconsapevolezza. Quindi la prossima volta che pensi di fare il bullo con qualcuno, ricordatelo» sbottai velenosa contro Hector. Da quando ero arrivata in questo branco, quel bastardo mi aveva sempre presa di mira. Ero riuscita a ignorarlo, ma a quanto pare aveva interpretato la mia indifferenza come un segno di debolezza. Sarò anche mezza umana, ma di certo non così debole da sopportare il bullismo a oltranza.
Gli occhi di Hector si spalancarono e la sua cricca di amici scoppiò a ridere a crepapelle.
«Che cosa hai detto, Freda? Come ti permetti?» sibilò Hector tra i denti, furioso. La sua stazza imponente era sempre stata uno dei suoi punti deboli, quindi colpire lì significava aver fatto centro.
«Hai sentito benissimo, ciccione. Non vorrai dirmi che il tuo peso ha danneggiato anche l'udito?» continuai, alimentata dalla frustrazione e dalla rabbia per il mio rifiuto e per la mia vita in generale.
«Brutta stronzetta...» Hector marciò verso di me e alzò la mano per schiaffeggiarmi, ma io lo fissai senza scompormi.
«Provaci, ciccione. Sarò anche solo mezza licantropa, ma il mio rango è comunque superiore al tuo. Sono la figlia di un Alpha. Tu, invece, sei solo il figlio di un Beta. Ricordatelo prima di colpirmi, perché se lo fai, costringerò mio padre a esiliarti» lo minacciai, e onestamente non sapevo da dove avessi tirato fuori tutta quella sicurezza.
Ero sicura al novanta per cento che a mio padre non sarebbe importato un fico secco del fatto che venissi maltrattata. Non avrebbe battuto ciglio, ma avevo bisogno di qualcosa per ricattare il ciccione, e il mio status era perfetto per una situazione del genere. Una folla si era radunata intorno a noi, curiosa di assistere alla scena.
Hector mi fissò con un'espressione combattuta. Voleva colpirmi, ma a quanto pare il mio avvertimento lo aveva raggiunto e sembrava che stesse seriamente considerando le conseguenze. La mia minaccia aveva funzionato a meraviglia.
«Torna la prossima volta che avrai le palle di fare qualcosa» assestai il colpo di grazia al suo ego prima di tirarmi su il cappuccio e, con le mani in tasca, entrare nella sala riunioni del branco.
Continuai a camminare a testa alta, dandоmi mentalmente una pacca sulla spalla per l'ottimo lavoro. Avevo messo Hector al suo posto, e ora era il momento di affrontare la riunione che mio padre aveva organizzato.
Vidi i miei fratellastri, la mia matrigna e mio padre in prima fila, rivolti verso la folla con espressioni orgogliose. C'era una sedia in più, sistemata un po' più indietro rispetto a loro e meno sfarzosa delle loro: sapevo che l'avevano riservata a me. Rimasi dov'ero, tra la gente, cercando di confondermi con gli altri, ma tutti si tenevano alla larga da me, per quanto mi nascondessi.
«Freda, vieni subito qui e siediti», mi chiamò la voce severa di mio padre. Alzai lo sguardo verso di lui e, con un sospiro pesante, mi feci strada fino in cima alla piattaforma. Mio fratello acquisito, Reed, non mi degnò nemmeno di uno sguardo, continuando a fissare la folla davanti a sé. La mia sorellastra era impassibile, ma fu l'occhiataccia carica d'odio della matrigna a darmi da pensare.
Ma che le ho fatto a questa donna?, pensai mentre raggiungevo il mio posto e mi sedevo. Aveva sempre nutrito una sorta di odio nei miei confronti, e Dio solo sa che non le ho mai fatto nulla di male. Per il momento la ignorai e guardai mio padre mentre si alzava e si dirigeva verso il centro del palco per parlare al nostro branco.
Mio padre sollevò una mano e ogni chiacchiericcio nella sala cessò. Era sempre stato in grado di imporre un rispetto assoluto nel branco, e questa era una delle poche cose che ammiravo di lui.
«Miei simili», esordì con una voce tonante che riverberò in tutta la sala. «Ho convocato questa riunione per affrontare una grave minaccia alla pace di tutti i lupi mannari».
Un mormorio serpeggiò tra la folla. Sentii un nodo di apprensione stringersi allo stomaco. Cosa mai poteva minacciare l'intera razza dei licantropi? Mi rilassai un po', pensando che, qualunque cosa fosse, non mi riguardava, dato che ero umana.
«Per generazioni, i branchi di lupi mannari hanno mantenuto una fragile pace con il Regno Unito dei Vampiri. Tuttavia, il Regno Unito dei Vampiri sta iniziando a muoversi. Le recenti schermaglie con alcuni branchi sono in aumento, e sospetto che stiano per scatenare una guerra». Mio padre fece una pausa, lasciando che la gravità delle sue parole penetrasse nella folla.
Cominciai a sentirmi molto inquieta. Una guerra? Non avevo ancora risvegliato la mia lupa e già sentivo parlare di una guerra imminente? Questo non fece che accendere la mia determinazione a lasciare il branco a ogni costo. Non mi sarei fatta coinvolgere in nessuna guerra.
«Ora», riprese mio padre, «siamo sull'orlo di un conflitto. Le nostre spie riferiscono che stanno ammassando le loro forze da molto tempo. Non vi indorerò la pillola: siamo forti, sì, ma se rispondessimo con la violenza, verremmo devastati, senza alcun dubbio. Siamo forti, è vero, ma contro i numeri superiori dei vampiri e la loro magia, non resisteremmo a una guerra prolungata».
Sui loro volti si leggevano delusione e rabbia. Un mormorio di disapprovazione e odio verso i vampiri attraversò la folla. Guardai di nuovo mio padre con ammirazione. Aveva valutato la situazione con precisione e non si era precipitato a dichiarare guerra. Aveva ammesso che eravamo in inferiorità numerica e probabilmente stava già pensando a un piano per uscire da quella situazione. Beh, per quanto lo ammirassi, non avrei comunque cambiato idea. Volevo andarmene da quel branco e avrei messo in atto il mio piano.
«Tuttavia, potrebbe esserci un modo per evitarla del tutto», continuò mio padre, e io tesi le orecchie per ascoltare attentamente come intendeva fermare un'intera guerra.
