Capitolo 2
Il punto di vista di Charlotte
Sussultai per i dolori acuti e pungenti alle gambe, conseguenza del brutale attacco di ieri...
Mi guardai un'ultima volta allo specchio, vedendo il mio viso rosso e gonfio che mi fissava con un’espressione abbattuta. I miei capelli biondo cenere erano raccolti in una treccia morbida mentre spostavo lo sguardo per osservare la mia scelta di abbigliamento per il “primo giorno di ritorno a scuola”.
Per una ragazza che, in fondo, amava tutto ciò che era rosa, al momento tutti i miei vestiti erano neri e gotici. Questa scelta era più una consolazione per me, convinta che i colori spenti mi avrebbero aiutato a nascondermi dal mondo esterno.
“Charlotte, sbrigati!” sentii mia madre urlare dal piano di sotto, informandomi che era ora di andare a scuola...
Non so cosa sia peggio, la mia orribile estate con quei tre torturatori o un altro anno nella stessa scuola con loro.
Sospirai, buttando la testa all’indietro, mentre iniziavo a muovere le gambe verso il corridoio per scendere al piano di sotto, ignorando il fatto che il mio cervello mi urlava di fermarmi.
Ogni volta che i miei jeans scuri e larghi sfregavano contro le cosce, trattenevo un gemito di dolore.
Ieri avevano davvero portato il loro piccolo “gioco della lama” a un livello completamente nuovo.
Mi trascinai giù per le scale, vedendo mia madre – tutta tirata a lucido e apparentemente pronta per la giornata – mentre faceva girare le chiavi della macchina intorno al dito con noncuranza.
“Ho un appuntamento con un poliziotto oggi, quindi muoviti!” mi informò, aprendo la porta e facendomi cenno di uscire mentre trattenevo a stento un’alzata di occhi con ogni briciolo di autocontrollo che mi restava.
Intende dire che oggi si concederà a un poliziotto... dopo aver stupidamente pensato che quel tipo le piaccia davvero... Voglio dire, non è un segreto, e tutta la città sa che mia madre va a letto con chiunque pur di ottenere quello che vuole nella vita.
Questo è un altro dei tanti motivi per cui mi umiliano a scuola...
Uscii e mi avviai verso la nostra macchina, controllando con cautela i dintorni mentre lo facevo.
Tutto tranquillo, per ora.
Salii dal lato del passeggero e aspettai un momento prima che mia madre si sedesse al posto di guida accanto a me, avviando il motore.
A questa distanza, potevo sentire la dolcezza del suo profumo economico che aleggiava nell’aria, soffocandomi.
“Non voglio che torni a casa prima delle sei... è l’orario in cui Dean inizia a lavorare,” sbottò, puntandomi contro il suo lungo dito con l’unghia acrilica prima di riportare lo sguardo sulla strada.
“Ma la scuola finisce alle tre, e avrò un sacco di compiti da fare...” provai a mentire, non volendo restare fuori casa più del necessario oggi.
“Vai a casa di un’amica e falli lì!” ringhiò, sapendo benissimo che non ho esattamente una lista di amici tra cui scegliere.
Quei tre ragazzi si sono assicurati di questo... qualsiasi mio amico avrebbe ricevuto lo stesso trattamento che ricevo io...
A scuola mi evitavano come la peste, semplicemente grati che non fossero loro a essere presi di mira.
“È chiaro?!” sbottò di nuovo, strappandomi dai miei pensieri mentre annuivo lentamente.
“Chiarissimo,” sussurrai, mentre il resto del tragitto proseguiva in silenzio.
Quando finalmente imboccammo la strada che portava al cortile della scuola, il mio stomaco si contorse alla vista di tanti volti familiari che si aggiravano fuori, in attesa della prima campanella.
Mia madre accostò davanti all’ingresso, e io sbiancai immediatamente nel vedere Holden appoggiato alla sua macchina accanto a due delle cheerleader “popolari” che ridacchiavano e si sbracciavano per lui.
Il suo sguardo incrociò la nostra macchina, e mi rivolse un falso sorriso quando ci fermammo proprio accanto a loro.
“Scendi, devo incontrare Dean alle 9!” sibilò mia madre, abbassando il piccolo specchietto per controllare il suo aspetto per un attimo.
Sospirai, non volendo aprire la portiera per ritrovarmi faccia a faccia con Holden, soprattutto dopo ieri, ma sapevo che se non l’avessi fatto, mia madre avrebbe fatto una scenata e avrebbe peggiorato le cose per me.
Tirai la maniglia, scendendo dal veicolo...
“Buongiorno, signorina Woods! Sempre splendida, come al solito!” la voce affascinante di Holden si fece subito sentire, facendo ridacchiare mia madre e salutarlo con un gesto della mano.
“Buon primo giorno di ritorno, Holden!” cantilenò dal finestrino mentre chiudevo la portiera e mi irrigidivo per l’intero scambio.
Era tutto così falso...
Cercai di camminare velocemente verso l’ingresso principale della scuola, desiderando sfuggire rapidamente a Holden.
Pregai che fosse troppo occupato a corteggiare le due cheerleader e che non avesse tempo per me quella mattina. Tuttavia, mi sbagliavo di grosso, perché pochi istanti dopo si precipitò a raggiungermi.
"Che fretta c’è, tesoro? Non pensavo nemmeno che riuscissi a camminare così veloce dopo quello che ti abbiamo fatto!" Ridacchia, afferrandomi una spalla per rallentarmi mentre mi irrigidisco sotto la sua presa.
"Io... devo solo vedere il preside prima delle nove, quindi sono un po’ di corsa..." Mento, mentre lui mi guarda con un sorrisetto, vedendo chiaramente attraverso la mia bugia.
"Beh, fortunata te, stamattina sono più interessato a farmi venire un’erezione che a perdere tempo con il tuo brutto muso." Lo dice senza mezzi termini, facendo ridere un paio di persone nelle vicinanze.
Era popolare... loro tre lo erano... e per qualche motivo, non lo capivo. Forse tutti avevano semplicemente paura di loro, come me? Era l’unica spiegazione che avesse senso.
"O-Ok." Riesco a malapena a rispondere mentre mi volto per fare un passo lontano da lui.
In quel momento, mi colpisce con un calcio l’unico piede che ho ancora a terra, facendomi cadere in avanti e sbattere sul gomito sinistro.
"Cazzo!" Sibilo subito per il dolore, mentre Holden e tutti quelli intorno scoppiano a ridere.
"Ora muoviti e sparisci dalla mia vista... mi stai già rovinando la giornata!" dice Holden, e io non perdo tempo a rialzarmi e a correre praticamente dentro la scuola.
La cosa triste è che ero grata che le cose non fossero andate peggio per me quella mattina... se gli altri due fossero stati con lui, non credo che sarei stata così fortunata.
Mi affrettai lungo i corridoi familiari che non vedevo da diverse settimane, cercando la mia via di fuga.
Riesco per fortuna a evitare qualsiasi traccia di Jason e Tommy mentre raggiungo uno dei corridoi più tranquilli, trovando il mio rifugio nella stessa aula abbandonata in fondo alla scuola.
Entro, chiudendo la porta a chiave dietro di me mentre mi concedo un momento per riprendere fiato. Questo era stato il mio rifugio sicuro per due anni ormai, da quando era stato usato come aula di deposito per gli insegnanti.
Tiro su la manica sinistra del maglione, sibilando mentre la pelle graffiata si stacca dal tessuto. Ritraggo il braccio, osservando il grosso taglio e vedendo il sangue rosso che fuoriesce copiosamente.
Mi sposto in un angolo, prendo un fazzoletto dal piccolo lavandino e lo bagno leggermente per pulire la ferita. Stringo i denti, non apprezzando il fastidioso bruciore, mentre do un’occhiata alla stanza caotica intorno a me.
Il motivo per cui mi piaceva così tanto questo posto era, uno, perché tutti si dimenticavano di questa stanza, e due, perché c’erano sempre cose nuove che i vari dipartimenti immagazzinavano qui per l’anno successivo.
A volte erano materiali artistici, che prendevo in prestito con un po’ di senso di colpa per portarli a casa, altre volte erano oggetti di scena per il teatro o esperimenti scientifici.
Mi avvicino alla prima scatola, notando un grande avviso sull’esterno; la curiosità ha la meglio su di me e mi ci avvicino.
Decidendo che il taglio è abbastanza pulito, getto il fazzoletto bagnato in un cestino e apro la scatola per controllarne il contenuto.
Trattengo il fiato, vedendo che la scatola è piena di attrezzi, probabilmente necessari per una lezione di design o lavorazione del legno.
Sollevo gli oggetti pesanti, ammirandoli uno per uno con cautela. Ci sono degli scalpelli, una piccola sega ruvida, tante forbici e un coltellino affilato.
Tengo il coltello e stringo forte il manico prima di agitarlo in aria in modo scherzoso, fingendo di usarlo come un assassino.
Una parte di me desiderava poter proteggermi da quei tre ragazzi, desiderava avere la loro stessa sicurezza con un’arma... ma semplicemente non ce l’avevo dentro di me.
A meno che...
Forse potrei fingere di voler usare il coltello contro di loro? Forse si renderebbero conto di essere andati troppo oltre con me? Penserebbero che sono finalmente pronta a reagire! Forse si tirerebbero indietro e crederebbero che ho perso la testa?!
Sospiro, sapendo che niente li avrebbe mai dissuasi dal tormentarmi. Ci provavano troppo gusto.
Forse, però, potrei mettere il coltello nello zaino... come opzione di riserva...
Valuto i pro e i contro prima che la campana delle nove suoni improvvisamente nei corridoi, segnalando l’inizio della mia prima lezione: matematica.
Speriamo solo che il resto della mia giornata fili liscio...





























































































































