Capitolo 2

Il punto di vista di Elsa

Mi sottomisi al suo ordine, sentendo il suo odore e il suo calore riempirmi la bocca. Mi afferrò i capelli per controllare il ritmo, spingendo con brutalità, quasi soffocandomi.

Ogni volta che cercavo di tirarmi indietro per prendere aria, mi strattonava di nuovo in avanti. Ti odio. Ti odio da morire. Oggi ho perso tuo figlio e tu mi tratti così?

«Prendilo più a fondo» ringhiò. «Sai esattamente come compiacermi.»

Le manette limitavano la mia resistenza, costringendomi all'obbedienza mentre le lacrime mi annebbiavano la vista e la saliva mi colava lungo il mento. Quando il suo telefono squillò, pensai che avrei finalmente avuto un attimo di tregua. Ti prego, lasciami respirare. Solo un secondo per respirare.

«Resta in silenzio e continua» sussurrò mentre rispondeva alla videochiamata. Fui costretta a continuare a servirlo, con la lingua e le labbra che lavoravano diligentemente mentre la sua mano rimaneva salda sulla mia nuca. Questa è più di un'umiliazione. È una tortura.

«Ciao, tesoro. Tutto bene?» Il suo tono con Vera era nauseantemente gentile, in netto contrasto con la brutalità che riservava a me.

«Mi manchi, Drake» arrivò la voce dolce di Vera dall'altoparlante. «Quando torni a casa?»

«Presto, piccola» rispose lui, spingendomi la testa ancora più a fondo. «Sto solo finendo delle scartoffie.»

Inclinò deliberatamente il telefono per assicurarsi che non apparissi nell'inquadratura, godendosi il duplice piacere del controllo: parole dolci per Vera, dominio fisico su di me. Per lui non sono altro che un giocattolo.

Quando l'auto si fermò finalmente ai margini della città, inciampai fuori e vomitai. L'addome mi urlava di dolore, ma Drake non se ne accorse o non se ne curò. Il sapore della bile si mescolava ai resti amari di lui nella mia bocca.

«Vieni a riaccompagnarla a casa» ordinò all'autista, già impegnato in un'altra telefonata.

Mentre l'auto si allontanava, rimasi a tremare nel freddo prima dell'alba, accettando finalmente la verità: per Drake, non sarei mai stata altro che un possedimento marchiato. E il bambino che avevo perso — il nostro bambino — sarebbe rimasto un fardello segreto solo mio.

Mi sveglio con un mal di testa lancinante, il ricordo della visita in ospedale di ieri e del trattamento brutale di Drake ancora vivo nella mente. Il corpo mi duole, sia per l'aborto spontaneo sia per i suoi modi rudi in macchina.

Quel fottuto bastardo non è stato capace di concedermi nemmeno un giorno per piangere il figlio che non sapevo di avere. Ma non posso permettermi di prendere un altro giorno di riposo. Nel branco Black Obsidian, mostrare debolezza è come sanguinare in acque infestate dagli squali.

La mia lupa si agita irrequieta sotto la pelle, gemendo di dolore. Premo il palmo della mano contro l'addome, sentendo il vuoto che c'è lì.

Dopo una doccia veloce per lavare via l'odore dell'ospedale e quello persistente di Drake, indosso un impeccabile tailleur nero: la mia armatura per la giornata che mi attende. Respira, Elsa. Cerca solo di superare la giornata senza crollare. La salita in ascensore fino al piano dirigenziale della Stone Industries sembra più lunga del solito; ogni piano mi avvicina all'uomo che non sa — o a cui non importa — di aver perso un figlio ieri.

Nel momento in cui metto piede al piano dirigenziale, sento delle voci concitate. Kayla Moon, la dipendente più anziana del reparto assistenti, è in piedi con la schiena dritta come un fuso, di fronte a una Vera in lacrime.

«Questo è inaccettabile!» dice Kayla, sventolando un rapporto. «Il tuo errore è costato all'azienda più di dieci milioni di dollari! L'accordo con la Valtor Mining è quasi saltato per colpa di queste cifre!»

Il labbro inferiore di Vera trema. «I-io stavo solo cercando di aiutare...»

Oh, porca puttana. Cos'ha combinato adesso questa piccola principessa incompetente? Le narici mi si dilatano involontariamente, cogliendo l'odore della finta angoscia di Vera: come un dolcificante artificiale, stucchevole e sbagliato. Mi metto tra loro, prendendo il rapporto dalla mano di Kayla. «Cos'è successo?»

«Ha presentato delle proiezioni sbagliate al gruppo Valtor» spiega Kayla, con la voce tesa di rabbia. «Si sono quasi ritirati dalla partnership quando hanno visto le cifre».

Scorro il rapporto, individuando subito diversi errori. Sbagli da principiante. Non è solo sciatteria, è incompetenza. Un dannato ragazzino delle medie avrebbe fatto i calcoli meglio di così.

«Stasera c’è la festa di compleanno del vecchio signor Valtor» dico, restituendo il rapporto a Kayla. «Ci andremo io e Drake a sistemare le cose». Mi volto verso Vera, mantenendo un tono professionale nonostante il subbuglio che ho nello stomaco. «Secondo la politica aziendale, chi commette l’errore se ne assume la responsabilità».

Gli occhi di Vera si sgranano per la paura, ma mi volto dall’altra parte. Per una volta, gestisci tu i tuoi casini. Oggi non ho la fottuta energia per le tue lacrime di coccodrillo. La mia lupa vorrebbe ringhiarle contro, rimettere al suo posto quella cucciola insubordinata, ma soffoco il brontolio che mi sale in gola.

Un'ora dopo, arriva un'email dalle Risorse Umane che annuncia il licenziamento di Kayla e la revoca del suo bonus trimestrale. Ma che cazzo? Fisso lo schermo, incredula. Kayla lavora per l'azienda da quindici anni. È un'assurdità totale.

Sto per chiamare le Risorse Umane quando il telefono vibra. È un messaggio di Drake: «Nel mio ufficio. Subito».

Entrare nell'ufficio di Drake, quello ad angolo, è come mettere piede nella tana di un predatore. Calma il respiro. Non fargli sentire la tua rabbia, né il tuo dolore. Lui è in piedi vicino alla finestra, di spalle, mentre Vera è appollaiata sulla sua scrivania. Ha gli occhi rossi, ma quando mi vede sfoggia un sorriso trionfante.

Nell'istante in cui varco la soglia, il mio corpo mi tradisce. La mia lupa interiore riconosce il suo compagno: il battito accelera, la pelle avvampa e un calore familiare si diffonde tra le mie cosce. Traditrice, ringhio contro la mia stessa biologia.

«Volevi vedermi?» mantengo la voce neutra.

Drake si volta, con gli occhi gelidi. «Ieri eri assente, così Vera ha gentilmente completato il tuo rapporto. Se fossi stata qui a fare il tuo lavoro, questo errore non sarebbe successo».

La sua sfrontatezza mi toglie il fiato. Ero in ospedale a perdere TUO figlio, stronzo senza cuore! Lottando per mantenere un'espressione impassibile, abbasso lo sguardo. «Mi scuso per la mia assenza» dico. «Ma non credo che licenziare Kayla sia la reazione giusta. È stata Vera a preparare il rapporto in modo errato. È solo una stagista che si occupa di proiezioni multimilionarie. Non pensi che sia un problema?».

Gli occhi di Drake hanno un lampo dorato: un avvertimento. Quel passaggio improvviso da occhi umani a occhi di lupo mi fa tremare le ginocchia.

«Stai mettendo in discussione le mie decisioni?» La sua voce scende a quel timbro da Alfa che mi vibra fin dentro le ossa.

Sì, perché sono fottutamente stupide. «No, sto offrendo una soluzione. Correggerò gli errori e presenterò una nuova valutazione del rischio professionale, per garantire che al banchetto di stasera il signor Valtor possa vedere la nostra serietà e professionalità. Ma Kayla non dovrebbe essere punita per qualcosa che non ha fatto».

Drake accarezza i capelli di Vera, con un tocco gentile che con me non usa mai. «Ok, risolvi tu e non licenzierò Kayla. Vera stava solo cercando di aiutare durante la tua assenza. Non permetterò che venga punita per un tuo fallimento».

Mi mordo l'interno della guancia fino a sentire il sapore del sangue. Quel gusto metallico mi aiuta a non perdere il controllo, a non lasciarmi sfuggire il lamento che mi si sta formando nel petto. Calmati. Non fargli vedere quanto ti fa male. «Sì, signor Stone».

«E io non verrò alla festa del vecchio Valtor stasera. Andrai da sola a sistemare questo casino».

Fantastico. Devo ripulire il casino della principessina mentre lui, probabilmente, se la scoperà sulla scrivania non appena uscirò da qui.

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