Capitolo 5

IL PUNTO DI VISTA DI BLAKE

Ero seduto nel mio ufficio, a fissare i fogli di calcolo del progetto Hudson Riverside. I numeri si confondevano tra loro. La mente continuava a tornare a tre notti prima, al JFK.

L’aereo di Emma era atterrato alle undici. Mi aveva scritto un messaggio specifico, chiedendomi se potessi andarla a prendere. Non i suoi genitori. Non il suo autista. Io.

Significava qualcosa.

Quando attraversò il gate degli arrivi, tutto il resto svanì. I capelli le ricadevano in onde morbide sulle spalle. Indossava un semplice abito color crema, nonostante l’ora tarda.

«Blake!» Mi era corsa incontro, il viso raggiante di gioia.

La strinsi tra le braccia. Era calda, reale. «Bentornata a casa».

«Mi sei mancato così tanto». La sua voce era un sussurro contro la mia spalla.

L’avevo tenuta stretta più del necessario, inspirando il suo familiare profumo di gelsomino. «Com’è andata a Parigi?»

«Una faticaccia. Ma ne è valsa la pena». Si scostò, i suoi occhi che cercavano i miei. «Grazie per essere venuto. So che è tardi».

«Ci tenevo». Con lei, le parole venivano facili. «I tuoi non si arrabbieranno?»

«Volevo vedere te per primo». Sorrise. Quel sorriso che faceva sembrare tutto giusto.

L’avevo riaccompagnata a casa io stesso. Parlammo delle sue esibizioni, della sua vita in Europa. Pendevo da ogni sua parola. Con Emma, la conversazione era naturale. Semplice. Giusta.

Aveva scelto me. Prima di chiunque altro.

Questo, tre notti fa.

Ora ero bloccato in ufficio, a pensare al suo sorriso. Il telefono vibrò. Matthew.

[Sempre d’accordo per cena?] mi scrisse.

[Sì. Passo a prenderti al centro medico. Alle sei in punto.]

Afferrai le chiavi e uscii. Jack alzò lo sguardo dalla sua scrivania.

«Vado al Redwood Medical», dissi.

Il tragitto durò venti minuti. Accostai all’ingresso principale e mandai un messaggio a Matthew. Rispose che sarebbe sceso entro cinque minuti.

Aspettai in macchina, scorrendo le email. Poi alzai lo sguardo.

Aria era in piedi sotto la tettoia. La pioggia le cadeva a dirotto addosso. Aveva i vestiti fradici. Ma non fu quello a farmi ribollire il sangue.

Il dottor Jonathan Mayer le stava vicino. Troppo vicino. La sua mano era posata sul braccio di lei. Stava ridendo per qualcosa che lui le aveva detto. Il suo viso si era illuminato in un modo che non le avevo mai visto a casa.

Che diavolo stava succedendo?

Scesi dalla macchina. Sbattei la portiera così forte da farli voltare entrambi.

«Aria». La mia voce squarciò il rumore della pioggia.

Si bloccò. Impallidì.

Jonathan fece un passo indietro, ma tenne la mano sul braccio di lei. «Signor Morgan. Stavo solo…»

«Sali in macchina. Adesso». Non lo guardai. Guardai solo lei.

«Blake, posso spiegare…» cominciò Aria.

«Ho detto sali in macchina».

Esitò. Poi si liberò dalla presa di Jonathan e si diresse verso di me. L’acqua le gocciolava dai capelli sul viso. Sembrava piccola. Vulnerabile.

Non mi importava.

Salì sul sedile del passeggero. Io mi misi al posto di guida e chiusi le sicure. Dal finestrino, vidi Matthew uscire dall’edificio. Notò la mia macchina e si avvicinò.

Abbassai il finestrino. «Rimandiamo la cena. È sorto un imprevisto».

Matthew lanciò un’occhiata ad Aria. Poi di nuovo a me. «Certo. Chiamami più tardi».

Uscii dal parcheggio senza un’altra parola. L’abitacolo si riempì del suono della pioggia e del suo respiro affannoso.

«Che ci facevi lì?» le chiesi. La mia voce era calma. Controllata.

«Ero andata a trovare mio padre.» Teneva lo sguardo fisso sulle mani.

«Non è quello che ho visto.»

«Jonathan è il medico di mio padre. Stava solo…»

«Solo cosa? Ti teneva per un braccio? Ti faceva ridere?» Svoltai bruscamente. Lei si aggrappò alla maniglia della portiera. «Pensi che sia stupido?»

«No, io…»

«Sei mia moglie. Sotto contratto. Capisci cosa significa?»

Non disse nulla.

Accostai in una strada tranquilla. Mi voltai a guardarla. «Guardami.»

Lo fece. Aveva gli occhi rossi. Non capivo se per la pioggia o per le lacrime.

«D'ora in poi, ti è proibito andare a trovare tuo padre al Redwood Medical Center.»

Sgranò gli occhi. «Cosa? Ma lui…»

«Non mi interessa. Vuoi spassartela con altri uomini? Bene. Ma non mentre porti il mio nome.»

«Non me la stavo spassando!» esclamò, alzando la voce. «Jonathan è solo un amico. Sta aiutando mio padre…»

«Le cure di tuo padre le pago io. Non lui. Non tu. Io.» Mi avvicinai. «E posso smettere di pagare quando voglio.»

Il colore le defluì dal viso. «Non lo faresti.»

«Mettimi alla prova.»

Si appoggiò allo schienale. Tremava con tutto il corpo. «Ti prego. Mio padre è tutto ciò che mi resta.»

«Allora comportati di conseguenza.»

Rimanemmo seduti in silenzio. La pioggia tamburellava sul tettuccio. Lei si asciugò gli occhi con il dorso della mano.

Pensai di nuovo a Emma. A quanto fosse diversa. Emma non mi aveva mai fatto sentire così. Non mi aveva mai fatto arrabbiare o sentire frustrato. Con Emma era tutto semplice. Chiaro. Giusto.

Con Aria, era tutto complicato.

«Perché?» La sua voce era appena un sussurro.

«Perché cosa?»

«Perché mi hai sposata?» Si girò a guardarmi. «Mi odi, è evidente. Non sopporti di starmi vicino. Allora perché firmare un contratto di cinque anni?»

La domanda mi colse alla sprovvista. Mi aspettavo lacrime. Suppliche. Non quello.

«Perché avevo bisogno di una moglie» dissi, secco. «Lo scandalo di tre anni fa richiedeva un intervento per limitare i danni. C'eri tu. E hai accettato le condizioni.»

«Tutto qui?» Qualcosa balenò nei suoi occhi. «Solo per limitare i danni?»

«Che altro avrebbe dovuto essere?»

«Pensavo…» Si interruppe. Scosse la testa. «Lascia perdere.»

«Pensavi cosa?»

Incrociò il mio sguardo. «Hai mai provato qualcosa per me? Anche solo una volta?»

La domanda aleggiò tra noi. Pesante. Carica di sottintesi.

Pensai a quella notte di tre anni prima. La festa. I drink. Il risveglio accanto a lei. Il modo in cui mi aveva guardato, allora. Come se fossi qualcuno degno di essere guardato.

Ma quello era prima. Prima del contratto. Prima che Emma tornasse. Prima che tutto si ingarbugliasse a tal punto.

«No» dissi. La mia voce era ferma. Definitiva. «Mai.»

Vidi qualcosa spezzarsi nella sua espressione. Le sue spalle si afflosciarono. Si voltò dall'altra parte.

«Capisco.»

Due parole. Fu tutto ciò che disse.

Rimisi in moto l'auto. Guidai verso la tenuta degli Hampton. La pioggia si era ridotta a una pioggerellina. Nessuno dei due parlò.

Quando arrivammo, non aspettò che dicessi nulla. Aprì semplicemente la portiera e scese. Si incamminò verso casa senza voltarsi indietro.

La guardai andare via. I vestiti bagnati le aderivano alla figura. Si muoveva lentamente, con deliberazione. Ogni passo era misurato.

Per un attimo, qualcosa mi si attorcigliò nel petto.

Ricacciai giù quella sensazione e mi allontanai.

Capitolo precedente
Capitolo successivo