Capitolo 7
Il punto di vista di Aria
Ero ferma all'ingresso del gala per il cinquantesimo anniversario della Morgan Global, con l'abito color acquamarina che aderiva a un ventre che aveva iniziato a gonfiarsi. Volevo nasconderlo, ma la mano di Blake era già sulla mia schiena: il segnale che la recita era cominciata.
Tre anni. Tre anni di matrimonio, tre anni di bugie.
Un uomo dai capelli d'argento si avvicinò, un calice di champagne in mano. «Blake, da quanto tempo». Il suo sguardo si posò su di me. «E lei è...?»
«La mia assistente esecutiva, Aria Taylor». La voce di Blake era così calma da far male.
Assistente esecutiva.
Sorrisi e gli porsi la mano. «Piacere di conoscerla».
L'uomo mi strinse brevemente la mano prima di rivolgersi di nuovo a Blake, lanciandosi in un discorso sui resoconti trimestrali. Io rimasi lì, come un oggetto di scena.
Sposata da tre anni, ed ero ancora solo un'assistente.
«Blake!» La voce di Victoria echeggiò dalla scalinata. Scendeva avvolta in un abito rosso, la cui stoffa spazzava il marmo dietro di lei. «Mamma ti sta cercando. La famiglia è di sopra, nella sala VIP».
Blake mi lanciò un'occhiata. «Rimani qui e occupati degli ospiti secondari. Scrivimi se c'è qualche problema».
Ospiti secondari.
«Certo, signor Morgan».
Victoria attese che Blake si fosse voltato per chinarvisi verso di me, abbassando la voce. «Ricordati qual è il tuo posto, Aria. Un'assistente dovrebbe comportarsi come tale».
Poi seguì Blake al piano di sopra.
Rimasi a guardarli mentre si allontanavano. Il bambino dentro di me parve percepire le mie emozioni: una nausea mi salì in gola. Feci un respiro profondo, ricacciandola giù.
Non potevo crollare. Non lì.
«Signorina!» mi chiamò una voce alle mie spalle. «Potrebbe prendermi dello champagne?»
Mi voltai. Una donna anziana mi fissava con aria pretenziosa.
«Non sono una cameriera, signora».
«Oh». Mi squadrò da capo a piedi. «Allora lei è...?»
«L'assistente di Blake Morgan».
«Oh». Si allontanò.
Mi aggrappai alla colonna vicina. Mi girava la testa. Gravidanza o umiliazione? Non riuscivo più a distinguerle.
Si avvicinò un'altra persona. «Ehi, può trovarmi il cappotto? Ho freddo».
«Il cibo è troppo salato. Vada a lamentarsi».
«Dov'è lo champagne?»
Uno dopo l'altro. Mi scambiavano tutti per una del personale.
Ero lì, nel mio abito color acquamarina, la cui stoffa luccicava sotto le luci, con il figlio di Blake in grembo, trattata come una cameriera.
Non era così che avevo immaginato di portare in grembo il figlio di Blake.
«Guarda un po'» disse una voce familiare alle mie spalle. «La servetta da quattro soldi della famiglia Morgan».
Mi voltai. Matthew era lì, il suo abito grigio dal taglio impeccabile, lo scherno negli occhi.
«Matthew».
«Ti ricordi di me». Si avvicinò. «Pensavo avessi dimenticato tutti per amore di Blake».
«Non ho dimenticato».
«No?» sogghignò. «Ti ricordi come balbettavi quando mi vedevi da bambina? Guardati adesso. Sei cambiata tanto, ma sei rimasta una servetta da quattro soldi».
Allora ero ingenua. Ora non più.
«Allora ero ingenua» replicai, sostenendo il suo sguardo. «Ora non lo sono più».
«Ne sei sicura?» Matthew si fece ancora più vicino. «E allora perché sei qui a prendere ordini come una cameriera?»
Non risposi.
«Pensi che sposare Blake abbia cambiato qualcosa?» La sua voce si abbassò. «Tuo padre ha ucciso il mio, Aria. Questo è un fatto che non cambierà mai».
Strinsi le dita. «Mio padre non ha ucciso nessuno».
«Il verdetto del tribunale dice il contrario».
Ci fissammo. La musica e le risate nella sala svanirono in lontananza.
All'improvviso, nella sala scoppiò un trambusto.
Tutti si voltarono verso l'ingresso.
Emma era lì.
Indossava un abito color acquamarina, della stessa identica tonalità del mio. Ma il suo aveva un taglio migliore, la stoffa era più pregiata, e tutta la sua figura aveva un'aria eterea.
Il mio sguardo cadde sul suo polso.
Il bracciale di zaffiri della famiglia Morgan.
Mi si mozzò il respiro.
Quel bracciale era un cimelio dei Morgan. Solo la vera moglie di un Morgan poteva indossarlo. E Blake lo aveva dato a Emma, pur essendo ancora sposato con me.
Intorno a me iniziarono i sussurri.
«Quello è lo zaffiro dei Morgan...»
«Emma si merita il titolo di moglie di un Morgan...»
«Quell'altra è solo un'assistente...»
Rimasi immobile, a guardare Emma nel suo abito identico al mio, che indossava il bracciale che non avrei mai avuto, ricevendo l'ammirazione di tutti.
Il cuore mi si spezzò.
«Pare che la tua posizione ora sia più chiara» mi sussurrò Matthew all’orecchio. Poi si diresse verso Emma.
Mi aggrappai alla colonna, mentre il mondo intorno a me girava.
«Aria!» La voce di Victoria risuonò dalle scale. Scese in fretta, seguita da Emma.
Si fermarono davanti a me.
«Vedi questo?» disse Victoria, indicando il polso di Emma. «Il cimelio di famiglia. Glielo ha messo la mamma in persona».
Fissai il bracciale di zaffiri, dove ogni diamante catturava la luce.
Victoria si chinò verso di me, abbassando la voce. «Sei solo una moglie a tempo determinato che sta per essere licenziata. Il contratto è quasi scaduto, ricordi?»
Dovrei contattare un avvocato per l'adulterio pubblico di Blake?
«Dovrei chiamare un avvocato?» mi sentii dire. «Fare causa a Blake per adulterio durante il matrimonio?»
L’espressione di Victoria cambiò.
Emma cercò la mia mano. Le sue dita erano fredde.
«Sei troppo intelligente e razionale per fare una cosa del genere» disse con voce gentile, ma la minaccia era chiara. «Non vuoi che tutti sappiano che sei la figlia di un assassino».
Il sangue mi si gelò nelle vene.
«Andiamo, Aria» riprese Victoria con il suo solito tono autoritario. «Sali a pulire la mia sala VIP. Prepara anche il tè e servi l'acqua. Emma è stanca e ha bisogno di riposare».
«Dai una mano» aggiunse Emma a bassa voce.
Ritirai la mano. «Essere la figlia di una governante non fa di me la vostra serva».
«Cosa?» esclamò Victoria, alzando la voce.
«Ho detto che non sono la vostra serva».
«Blake!» si voltò e gridò Victoria.
Blake scese le scale, accigliato. «Cos'è successo?»
«Ha insultato me ed Emma!» disse subito Victoria.
Emma nascose il bracciale nella manica, con un'espressione ferita. «Non è niente, Blake. Non ho bisogno di scuse».
Blake mi guardò. «Lo faccia, assistente Taylor. Pulisca la stanza e serva il tè».
Assistente Taylor.
Mi ricordai di quando, da bambine, venivo manipolata da Emma. Mi ricordai di mia madre che mi picchiava perché non riuscivo a servire la famiglia Grant come si doveva.
«Non lo farò».
Lo sguardo di Blake divenne gelido. «Mi stai minacciando? Rifiutarti di pulire una stanza significa licenziarti?»
«Licenziala!» disse Matthew.
«Sì, licenziala!» gli fece eco Victoria.
«Basta» disse Blake. «Le decisioni sul personale della Morgan Global non spettano a voi».
Mi afferrò per un polso e mi trascinò in un angolo.
Le sue dita mi si conficcarono nella carne. «Non fare scenate al gala. Stai danneggiando l'immagine della Morgan Global».
«Chi sta facendo una scenata?» replicai secca. «Io, o tu ed Emma che ostentate quel bracciale?»
«Emma chiede poco» disse lui. «Sii collaborativa. È appena tornata dall'Europa e ha bisogno di riabituarsi».
Stava ancora proteggendo Emma.
«Voglio porre fine al matrimonio in anticipo» dissi. «Rinuncerò all'accordo economico».
«No» fu la rapida risposta di Blake. «Un divorzio farebbe crollare le azioni e danneggerebbe la reputazione della famiglia».
«Non sono una tata né una serva» dissi. «Abbiamo un contratto».
«Davvero?» sogghignò. «Ti ricordi di tre anni fa? Ti ricordi di come mi hai drogato?»
Alla fine le lacrime mi scesero sul viso.
«Non ti ho drogato!» dissi con voce tremante. «Quando mi crederai?»
«Le prove parlano chiaro».
«E se potessi dimostrare la mia innocenza?» dissi. «Allora saresti tu il criminale che ha forzato questo matrimonio».
Lo sguardo di Blake si fece ancora più gelido. «Stai lontana da Emma. Non prenderò le tue parti».
«Presto non mi vedrai più del tutto».
Mi voltai e me ne andai.
Fuori dalla sala, l'aria mi schiarì un po' le idee. Mi aggrappai alla ringhiera, fissando le luci lontane di Manhattan.
Incinta. Umiliata. Un matrimonio in frantumi.
Fui travolta da un capogiro. Non sapevo dire se fosse per la gravidanza o per l'emozione.
Un strano odore dolciastro mi passò accanto. Pesante, chimico.
La mia mente cominciò a offuscarsi.
C'è qualcosa che non va.
Cercai di tornare verso la sala, ma le gambe mi si indebolirono. I suoni intorno a me si fecero distanti, ovattati.
Mi appoggiai al muro, barcollando all'indietro.
Una figura sfocata si avvicinò.
Provai a chiedere aiuto, ma non emisi alcun suono.
Il mio corpo si fece sempre più pesante. Le ginocchia mi cedettero.
Qualcuno mi sorresse.
Tutto divenne nero.
Crollai tra braccia sconosciute.
