Capitolo 7
Speranza
Avevo così tante domande quando sgattaiolai fuori prima dell'alba la mattina seguente. Per fortuna mi ero tolta quel vestito orribile e indossavo di nuovo i miei veri abiti. Il vestito sarebbe potuto essere carino... se fossi stata una prostituta, ma non faceva per me. Ero felice di essere tornata ai miei stracci.
La città, devastata e rovinata dalla guerra e da secoli di disordini, si ergeva su entrambi i lati di me. Tutto metallo contorto e silenzioso.
Non c'era nessuno in giro. Nemmeno i venditori, ma era proprio quello che volevo. Avevo bisogno di qualche minuto da sola. Fuori dalla baracca che ora chiamavo casa, lontano dalle persone. Per poter pensare.
Pensavo di essermi acclimatata a questa nuova realtà, ma la scorsa notte mi aveva dimostrato che avevo ancora molto da imparare. Soprattutto sugli elite.
Come si erano chiamati? Alphas.
Passando la mano su un muro in rovina, guardai oltre il fango marrone del fiume e sollevai il viso verso la brezza stantia. Il fiume era sempre stato uno dei miei posti preferiti dove andare nella mia vecchia vita. Preferivo l'oceano, ma il lavoro e la scuola rendevano quasi impossibile andarci regolarmente e il fiume era la seconda scelta migliore.
Con cautela mi feci strada giù per i gradini consumati e sgretolati. Tenendo la mano stretta contro le pietre per non scivolare. Era come un mondo diverso laggiù e se chiudevo gli occhi e pensavo abbastanza intensamente potevo quasi sentire il trambusto e i suoni del fiume occupato nelle mie orecchie. Potevo quasi sentire l'odore del caffè e dei gas di scarico. Anche se ora non c'era più nulla di tutto ciò.
Mi mancava tutto. Ogni cosa banale che avevo dato per scontato.
C'era qualcosa qui sotto che potevo guardare però. Graffiti. In qualche modo preservati sul muro. Il tag di qualche teppista era sopravvissuto anche quando dipinti inestimabili non lo avevano fatto.
E sotto di esso. I miei stessi segni. Linea dopo minuscola linea punteggiavano il muro. Centinaia di loro. Ogni segno un giorno che avevo passato qui.
Sospirando, passai la mano sulla figura sprayata di un uomo che fumava uno spinello e sentii le lacrime pungermi gli occhi. Rabbiosamente mi strofinai il viso.
Le lacrime non sarebbero servite a nulla qui. I deboli venivano uccisi e solo i più forti sopravvivevano. Io ero forte. Almeno così avevo sempre pensato. Fino alla scorsa notte.
L'uomo, Jenkins, era stato anormalmente forte. La sua pelle troppo fredda e dura come il marmo e il modo in cui parlava di me mi faceva prudere la pelle.
Stava per violentarmi. Proprio lì sul tappeto, circondato da persone e da antichità che erano vecchie anche nel mio tempo. Stava per prendermi contro la mia volontà e avevo una terribile sensazione che nessuno sarebbe intervenuto per aiutarmi se non fosse stato per Lincoln.
Avrebbero guardato.
Era un pensiero sobrio e mi faceva sentire male.
"È bello, vero?"
Mi girai di scatto, avvolgendomi le braccia intorno per trovare Lincoln che mi fissava con occhi socchiusi contro la luce del primo mattino. C'era una maschera nera avvolta intorno alla parte inferiore del suo viso. Si abbinava perfettamente al resto dei suoi vestiti neri.
Il riconoscimento mi strinse il petto. Era stato lui a prendere le vernici. Uno dei comandanti, il resto di lei temeva.
Solo che io non lo temevo. Non davvero. Raddrizzando le spalle, mi tirai su alla mia piena altezza. Che non era affatto molto alta rispetto a lui.
"Cosa ci fai qui?"
La sua risata mi accarezzò la pelle. "Potrei chiederti la stessa cosa. Questa è la mia città. Cosa ci fai qui sotto, Speranza?" I suoi occhi si spostarono sul muro. "Sei venuta a vedere i -" fece un gesto con la mano verso i colori una volta vivaci.
"Sì." Non aveva senso mentirgli. A cosa sarebbe servito?
"La città è piena di questi." Avanzando, si sporse intorno a me. Quasi intrappolandomi con il suo braccio, fece scorrere le dita sul dipinto. "Non li capisco e la storia che conosciamo non li menziona. Perché ti piace tanto guardarli?"
Era così vicino che il suo respiro si muoveva sulla mia pelle e dovetti combattere l'impulso di gemere. Il calore crepitava attraverso di me. "Si chiamano graffiti." Dissi piano. "Ognuno è una tag," colsi la sua espressione confusa. "È come un nome. Il nome che un artista usa- voglio dire usava. Questo è l'unico che ho visto finora ma hai detto che ce ne sono altri." Sollevai speranzosa gli occhi verso di lui solo per trovarlo a fissarmi dritto negli occhi. Una linea che gli stringeva le sopracciglia insieme.
"Alcuni sì, ma come fai a saperne così tanto?"
La mia bocca si aprì e la chiusi di nuovo con uno scatto. Non potevo rispondere a quello. Non senza dirgli tutto e non volevo farlo. Non potevo dirlo a nessuno perché avrebbero pensato che fossi completamente pazza.
"Mi piace l'arte." Riuscii a dire debolmente.
"Ahhh." Sospirò come se quello spiegasse tutto. "È strano che qualcuno come te si interessi a queste cose."
Le mie sopracciglia si sollevarono. "Una ragazza come me? Cosa significa?"
"Un'omega." Allungando la mano mi spinse i capelli indietro dalla guancia e per un secondo le sue nocche sfiorarono la mia pelle. "Non è sicuro per te girare in giro e la tua famiglia dovrebbe tenerti sotto controllo. Qualsiasi Alpha potrebbe semplicemente-" si mosse così velocemente che non capii cosa stava succedendo finché non fui premuta contro le pietre ruvide. "Prenderti."
Il respiro mi si fermò in gola. "È quello che intendi fare? Prendermi?"
I suoi occhi lampeggiarono. "No." Allontanandosi scosse la testa. "Ma parlando della tua famiglia. Perché non ti hanno addestrata? Mi sembra che il tuo tempo sarebbe meglio speso imparando cosa ci si aspetta da te invece di guardare reliquie del passato. Per quanto vibranti."
"I-" guardando lontano oltre l'acqua che un tempo sarebbe stata brulicante di barche e persone. "Cosa dovrei sapere?"
"Cosa sai di - tutto?" Allungando una mano la lasciò sospesa nell'aria tra noi. "Di cosa succederà se sarai scelta? Le cose che ci si aspetterà da te?"
"Come compagna-" cominciai a recitare quello che sapevo e lui mi zittì.
"Allora non sai nulla. Questo deve cambiare Hope. Gli esami saranno effettuati tra due giorni. E dopo di che sarai scelta come compagna o entrerai in una delle case omega."
"Case omega?"
"Il posto dove -"
Impallidii sotto il rossore che mi scaldava le guance. "Una casa di tolleranza? Davvero? Che tipo di società arretrata-"
Mi zittì con un ringhio. "La società in cui viviamo. Ecco." Mi spinse qualcosa di vagamente a forma di libro avvolto in un panno nero nelle mani. "Sai leggere?"
Roteai gli occhi. "Certo che so leggere."
"Non farlo mai più in mia presenza, Hope. Non sono un mostro come Jenkins ma sono un Alpha. Se alzi gli occhi al cielo ti punirò. Ora vai a casa e leggi questo. Impara la nostra storia e non andare da nessun'altra parte che a casa."
"Devo prendere del cibo-"
"Direttamente a casa." Ordinò. "E dì a tuo padre inutile di procurarsi il cibo da solo d'ora in poi. Non è sicuro per te stare per strada ora."
"Cosa intendi dire?"
Lincoln scosse la testa. "Leggi il libro Hope e non uscire di casa senza una scorta di nuovo. Non sarò sempre qui per salvarti."
