Capitolo 3

Il punto di vista di Eleanor

«Eleanor.»

Quella voce familiare mi strappò ai miei ricordi. Alzai lo sguardo, sorpresa dalla figura sulla soglia. Lì in piedi c'era Derek: mio marito, anche se quella parola suonava sempre più vuota dopo due anni di separazione.

«Derek?» Riuscivo a malapena a credere ai miei occhi, la mia voce era poco più di un sussurro. La seta della camicia da notte mi scivolò da una spalla mentre lo fissavo, per un attimo incapace di formulare un pensiero coerente.

Sbattei le palpebre più volte, cercando di elaborare lo shock della sua presenza. Era innegabilmente reale, la sua alta figura proiettava lunghe ombre sul pavimento della nostra camera da letto. Un leggero odore di whisky costoso arrivò fino a me.

«Pensavo che stanotte non saresti tornato a casa» dissi, sforzandomi di mantenere la voce ferma nonostante il caos di emozioni che sentivo dentro.

«E dove ti aspettavi che stessi?» domandò Derek, con una punta di sarcasmo nel tono.

«Non intendevo…» esitai, stringendomi le lenzuola addosso. «Semplicemente non mi aspettavo che saresti tornato all'appartamento stanotte.» Mormorai a mezza voce: «Tanto non è che ti piaccia stare con me».

Derek rise, una risata gelida. «Questo appartamento è a mio nome, o sbaglio? Ho bisogno del tuo permesso per entrare e uscire?»

Le sue parole mi ferirono, com'era nelle sue intenzioni. Deglutii a fatica, ricordando a me stessa che mostrare il mio dolore avrebbe solo peggiorato le cose. «Certo che no» risposi, con la voce che si era fatta leggermente più fredda. «È solo che non ti aspettavo.»

Lo guardai togliersi la giacca e appenderla con cura nell'armadio. Ogni suo movimento era preciso, controllato: così diverso dal Derek pieno di vita che avevo conosciuto nei nostri brevi mesi di felicità. Londra lo aveva cambiato. O forse era sempre stato così, e io ero stata semplicemente troppo accecata dall'amore per vederlo.

«Non mi hai chiesto perché sono tornato» osservò, slacciandosi i polsini.

Non osai dirgli la verità: che temevo la risposta avesse a che fare con il nostro imminente divorzio. «Ho pensato per lavoro» dissi invece, sentendo il sapore amaro della bugia sulla lingua.

Derek emise un suono vago. «Il tuo negozio di fiori sembra andare bene. Ne ho sentito parlare stasera al club.»

Sapere che aveva parlato di me con altri mentre ignorava i miei messaggi mi provocò una nuova ondata di dolore. «Sì, il Four Seasons Florals ha avuto un discreto successo. Ci siamo espansi ai contratti aziendali e ai servizi per matrimoni.»

«Servizi per matrimoni» ripeté lui, con un velo di ironia nella voce. «Molto appropriato.»

Non riuscii a decifrare cosa intendesse, e non ero sicura di volerlo sapere. «Hai fame?» chiesi, cambiando argomento. «Potrei scaldarti qualcosa.»

«Non serve. Ho mangiato al club con Thomas.»

Certo che l'aveva fatto. Mentre io ero seduta da sola al nostro tavolo da pranzo, a fissare il salmone che avevo preparato e che nessuno aveva toccato, lui si stava divertendo con gli amici. Il post che avevo visto poco prima sui social mi tornò in mente.

«Vado a farmi una doccia» disse Derek, allentandosi già la cravatta.

Annuii, senza fidarmi a parlare mentre lui spariva in bagno. Poco dopo sentii il getto della doccia e buttai fuori l'aria lentamente, rendendomi conto solo in quel momento di aver trattenuto il respiro. Due anni. Due anni da quando avevamo condiviso questo spazio, questo letto. Due anni in cui avevo finto che il nostro matrimonio fosse solo in pausa, invece che praticamente finito.

Allungai la mano verso il cassetto del comodino e tirai fuori un romanzo che non avevo ancora iniziato, cercando di concentrarmi sulle parole, ma mi si offuscavano davanti agli occhi. Il rumore dell'acqua che scorreva nella doccia mi distraeva, rendendomi impossibile non immaginare Derek dall'altra parte di quella porta. L'acqua che gli scivolava sulle spalle, giù per il petto…

«Smettila» sussurrai a me stessa, chiudendo il libro con più forza del necessario. Era proprio per questo che non riuscivo ad andare avanti: per queste fantasie insistenti su un uomo che aveva messo in chiaro di considerare il nostro matrimonio nient'altro che un obbligo.

I minuti si allungavano all'infinito. Cercai di concentrarmi di nuovo sul libro, ma mi ritrovai a leggere lo stesso paragrafo più e più volte senza capirne il senso. Finalmente, il getto d'acqua si spense e mi preparai al ritorno di Derek.

La porta del bagno si aprì e Derek apparve con solo un asciugamano avvolto stretto sui fianchi, il petto nudo e ancora lucido di goccioline d'acqua. Trattenni il fiato involontariamente.

«Ah! Scusa!» balbettai, voltandomi di scatto. «Vuoi… vuoi che ti prenda il pigiama?»

Il tono di Derek era beffardo. «Sono a casa mia. Mi vesto come mi pare. Che ti piaccia o no.»

Tra noi cadde un silenzio imbarazzante. Sentivo il profumo del bagnoschiuma costoso che usava, un odore che mi fece quasi girare la testa.

«Devo forse ricordarti,» dissi con cautela, «che in due di quegli anni ci siamo a malapena visti.»

Derek non rispose subito. Si avvicinò al comò e prese un paio di pantaloni del pigiama, lasciando cadere l'asciugamano per indossarli. Senza volerlo, il mio sguardo cadde sul rigonfiamento evidente nei suoi pantaloncini e il viso mi si accese all'istante. Distolsi subito gli occhi, con il cuore che batteva all'impazzata e il corpo stranamente teso. Quella reazione mi infastidì.

Derek si diresse verso il suo lato del letto, scostò le coperte e si infilò accanto a me. «Comunque sia,» disse infine, «questa è anche casa mia. E mi vesto come voglio.»

Il materasso si abbassò sotto il suo peso, e io divenni acutamente consapevole dei trenta centimetri scarsi che ci separavano: una distanza che sembrava allo stesso tempo enorme e insufficiente. Per due anni avevo dormito da sola in quel letto matrimoniale, finendo per spostarmi gradualmente al centro. Ora, ero ipercosciente di dover rimanere ben salda dalla mia parte.

«Tu…» cominciai, poi mi interruppi per raccogliere il coraggio. «C'è qualcosa di speciale? È per questo che sei tornato a Boston?»

La domanda rimase sospesa nell'aria tra noi. Volevo disperatamente chiedergli se fosse lì per finalizzare il nostro divorzio, ma la paura mi impedì di essere più diretta.

«Non ti riguarda,» disse alla fine, con voce gelida. «Fai finta che io non sia qui. Non è così che abbiamo fatto per anni?»

Le sue parole mi ferirono nel profondo, ma mi rifiutai di fargli vedere quanto mi avessero fatto male. Annuii semplicemente e gli voltai le spalle. «Buonanotte, Derek,» dissi a bassa voce.

«Buonanotte,» rispose lui, dandomi la schiena a sua volta.

Rimasi immobile, ascoltando il respiro di Derek rallentare e farsi via via più profondo. La mano mi salì a toccare il ciondolo d'argento a forma di stella che portavo al collo: l'unico regalo che mi avesse mai fatto, datomi quasi per caso quando mi aveva chiesto di sposarlo. Per lui, probabilmente, era stato un ninnolo senza valore, ma per me era diventato un tesoro inestimabile.

Il sonno non ne voleva sapere di arrivare. La presenza di Derek era troppo invadente, troppo insolita eppure dolorosamente familiare. Dopo circa mezz'ora, quando fui certa che dovesse essersi addormentato, mi concessi di avvicinarmi di un poco al suo calore, muovendomi con cautela per non disturbarlo. Solo un po' più vicino, mi dissi. Solo per sentirmi meno sola.

Poi, all'improvviso, Derek si girò. Il suo braccio mi scivolò attorno alla vita, tirandomi contro il suo petto con una forza sorprendente. Mi irrigidii, osando a malapena respirare mentre la sua mano risaliva sotto la mia camicia da notte, trovandomi il seno e prendendolo nel palmo. Mi sfuggì un piccolo gemito; il mio corpo rispose immediatamente al suo tocco, nonostante tutte le mie proteste mentali.

Sapevo che per lui era una reazione puramente fisica: l'istinto di un uomo con una donna nel letto. Non significava nulla a livello emotivo.

Eppure, in quel momento, la logica non aveva alcun potere su di me. Mi abbandonai al suo tocco, concedendomi quel piccolo conforto, quella breve illusione che potesse davvero desiderarmi.

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