Capitolo 3
Il sapore metallico del sangue e dell'antisettico mi riportò alla coscienza. Un fuoco mi attraversò il petto, come se mi avessero versato argento fuso direttamente nelle vene. Socchiusi gli occhi, strizzandoli contro le dure luci fluorescenti di quello che sembrava un laboratorio medico.
«Signor Hall! Grazie a Dio, è sveglio». La voce di Jason squarciò la nebbia che mi offuscava i pensieri. Il mio capo della sicurezza aveva un aspetto terribile: il suo solito contegno impeccabile era stato sostituito da rughe di preoccupazione e una cravatta allentata intorno al collo.
Cercai di tirarmi su, emettendo un sibilo mentre il dolore mi trafiggeva il torso. Tre ferite fasciate, ognuna medicata con precisione chirurgica.
«I proiettili?» La mia voce uscì roca, come ghiaia.
«Andati». Jason fece un cenno verso una bacinella di metallo che conteneva tre pallottole d'argento. «Qualcuno le ha praticato un intervento d'urgenza proprio qui, in questo laboratorio. Quando abbiamo rintracciato il suo telefono, era solo».
Frammenti di memoria balenarono: occhi d'argento, l'impossibile sensazione di sicurezza e qualcos'altro... una pelliccia bianca? Ma più di tutto, c'era stato un odore. Tenue, quasi spettrale, ma aveva richiamato qualcosa di primordiale nel profondo del mio petto. Qualcosa a cui non sapevo dare un nome, né capire.
Chiusi gli occhi, inseguendo quell'immagine sfuggente. «Una donna. Occhi d'argento. Il suo odore era appena percettibile, come fumo». Spalancai gli occhi di scatto. «Trovala, Jason. Voglio sapere tutto».
«Signore, non dovremmo concentrarci prima su chi ha cercato di metterla sotto terra?»
Lo fulminai con uno sguardo che avrebbe potuto gelare il sangue. «Ti sembra che abbia bisogno di promemoria su come indagare sul mio stesso assassinio? Due priorità, Jason: trovare chi ha tentato di uccidermi E chi mi ha salvato. Entrambi. Ora».
Jason si raddrizzò come se avesse ricevuto uno schiaffo. «Certo, signore. Ho già delle squadre che stanno dando la caccia agli aggressori».
«Bene». Feci scivolare le gambe giù dal tavolo, ignorando le proteste del mio corpo. «Portami al Centro. Michael deve vedere».
Il Silver Moon Medical Center era nascosto sotto un'anonima clinica del benessere alla periferia di Seattle. Jason mi aiutò a entrare dall'ingresso privato, dove il dottor Michael ci stava aspettando, già informato sulle mie condizioni.
«Alpha Hall», disse con un cenno rispettoso. «Diamo un'occhiata».
Nella sterile sala visite, Michael rimosse le bende. Inarcò le sopracciglia mentre studiava le suture perfette.
«Incredibile», mormorò, avvicinandosi. «Questa tecnica chirurgica... non vedevo un lavoro così pulito da quando l'Alpha Isabel era viva».
«Cioè?» Osservai attentamente la sua espressione.
«L'estrazione dell'argento è impeccabile: nessuna tossicità residua nel tessuto circostante». Michael scosse la testa, stupefatto. «Chiunque sia stato ha un'abilità straordinaria e conoscenze specialistiche. Capiva esattamente come contrastare gli effetti dell'argento sulla nostra fisiologia».
Qualcos'altro mi tormentava: il modo in cui il mio lupo si era calmato durante l'intervento, come se la sola presenza di lei fosse stata... cosa? Curativa? Rassicurante? Non avevo mai provato niente di simile e il ricordo mi lasciava inquieto.
«Ci sono lupi con questo livello di competenza a Seattle?»
Michael incrociò il mio sguardo. «Non da quando l'Alpha del branco Moonheal è morto, anni fa. Le loro tradizioni curative sono morte con lui». La sua espressione si incupì. «Ecco perché le nostre recenti dispute territoriali sono state così sanguinose. Siamo a corto di guaritori esperti».
Archiviai quell'informazione. Una guaritrice di talento, legata al branco Moonheal. Un lupo bianco. I pezzi non si incastravano ancora.
Sul sedile posteriore della mia Bentley, Jason mi porse un tablet. «Ho controllato i registri di accesso del laboratorio e i filmati della sicurezza esterna, signore».
Scorsi il rapporto e mi bloccai. Una fotografia riempiva lo schermo: una giovane donna dalla pelle di porcellana, con impressionanti occhi grigio-argento e un'espressione al tempo stesso distante e fiera.
«Evelyn Gray» spiegò Jason. «Ventun anni. Brillante studentessa di medicina alla Portland University».
«Gray?» Il sangue mi si gelò. «Il branco Moonheal?»
«Sì, signore. La nipote di William Gray». Jason esitò. «È stata esiliata tre anni fa, a diciotto anni. Subito dopo la sua prima trasformazione».
La rivelazione mi colpì come un pugno. «L'esilio della Gray... perché non ne ho un ricordo chiaro? Qualsiasi espulsione formale dal branco sarebbe dovuta passare dalla mia scrivania».
«Secondo i registri, la famiglia riferì al Consiglio che perse il controllo durante la sua prima trasformazione e attaccò un umano. Sostennero anche che stesse collaborando con dei nemici».
Fissai la sua fotografia, mentre qualcosa si faceva strada ai margini della mia memoria.
La mattina dopo eravamo alla Portland University.
Attraverso i finestrini oscurati, osservavo gli studenti muoversi per il campus. Poi la vidi: camminava da sola, gli occhi argentei fissi davanti a sé, muovendosi con passi aggraziati ma guardinghi. A differenza degli altri, emanava quell'energia ipervigile che avevo visto nei lupi che avevano imparato a guardarsi le spalle.
«È lei» dissi a bassa voce. «Portamela».
Pochi minuti dopo, Jason la scortò fino all'auto. Scivolò sul sedile di fronte a me, con un'espressione indecifrabile.
«Signor Hall» disse lei, gelida, senza la minima traccia di sorpresa nella voce.
La studiai, cercando un qualsiasi indizio della lupa che avevo intravisto. Da vicino, il suo odore era effettivamente debole: quello di un licantropo la cui natura era stata in qualche modo smorzata.
«Signorina Gray» risposi, porgendole il mio biglietto da visita. «Vorrei offrirle un posto nella divisione di ricerca medica della Hall Enterprises».
Un sopracciglio si inarcò leggermente. «E perché mai dovrebbe farlo?»
«Le sue competenze mediche sono eccezionali. Abbiamo bisogno di guaritori del suo calibro».
«Vuol dire che il suo branco ha bisogno di guaritori» mi corresse, con tono piatto. «Non mi interessano le politiche dei branchi».
«Questa è un'opportunità per cui la maggior parte della gente ucciderebbe» insistetti, poco abituato ai rifiuti.
Gli occhi argentei di Evelyn incrociarono i miei, diretti: una sfida che nessun lupo avrebbe mai osato lanciare a un Alpha. «Sono perfettamente soddisfatta della mia vita attuale. Ho imparato a sopravvivere senza un branco».
Prima che potessi rispondere, stava già allungando la mano verso la portiera. «La prossima volta che le sparano con dell'argento, trovi qualcun altro per farsi ricucire».
La guardai allontanarsi, per poi gettare con noncuranza il mio biglietto da visita in un cestino, senza voltarsi indietro.
«Signore...» azzardò Jason dopo un attimo di silenzio carico di tensione. «È... diversa dagli altri lupi».
Non risposi, con lo sguardo fisso sulla sua figura che si allontanava. Cos'era quella sensazione? In tutti i miei anni, non avevo mai provato quell'attrazione strana, quella connessione magnetica.
«Tira fuori tutto quello che riguarda la famiglia Gray di tre anni fa» ordinai infine. «Ogni singolo dettaglio».
Jason annuì, pensieroso. «Pensa che sia stata incastrata?»
Continuai a guardare fuori dal finestrino, un dolore che si diffondeva nel petto e che non aveva nulla a che fare con le ferite di proiettile. Il mio lupo era inquieto, agitato dalla sua assenza in un modo che non aveva alcun senso.
«Non lo so» ammisi, sentendo il lupo agitarsi irrequieto sotto la pelle. «Ma ho intenzione di scoprirlo».
