CAPITOLO 4

SELENE

Poi, mentre lui si muoveva, nella stanza calò il silenzio. Fece un passo verso il bordo del palco.

E a quel punto lo vidi chiaramente.

L’acquirente.

Mi si mozzò il respiro, il cuore prese a martellarmi contro le costole, tradendomi. Era, senza ombra di dubbio, l’uomo più stupendo che avessi mai visto: oscuro, autoritario e letale nella sua bellezza. Un predatore nel corpo di un dio. Ogni centimetro di lui irradiava potere, eppure fu il suo sguardo a tenermi prigioniera, a intrappolarmi in un modo che non capivo.

I suoi lineamenti erano mozzafiato: zigomi scolpiti, una mascella forte e definita, e labbra piene che accennavano a un sorrisetto beffardo. I suoi occhi scuri e penetranti erano incorniciati da ciglia folte, e la loro intensità era al tempo stesso seducente e pericolosa. I capelli, neri come la notte e volutamente spettinati, contribuivano alla sua aria di perfezione intoccabile.

Era l’uomo più affascinante che avessi mai visto.

Aveva la mascella contratta, il corpo teso come una molla, ma i suoi occhi… i suoi occhi non mi lasciavano un istante.

L’improvvisa pressione sul braccio mi riscosse dai miei pensieri.

La presa della guardia nerboruta si strinse, strattonandomi giù dal palco.

«Lasciami!» urlai, la voce incrinata dal panico mentre mi divincolavo nella sua stretta ferrea. Menai dei pugni, cercando di liberarmi, ma le catene tintinnarono e la sua presa non fece che rafforzarsi.

Lui scoprì le zanne, avvicinando il viso in modo minaccioso. Il puzzo di sangue fresco mi riempì le narici, mescolandosi ai resti putrescenti della sua ultima vittima. L’odore crudo e metallico mi fece rivoltare lo stomaco, e lottai per ricacciare indietro la bile mentre il suo alito, denso di morte, mi investiva.

E poi capii. Le parole della donna che mi aveva avvertita — sussurri di mostri in agguato nell'ombra — mi tornarono in mente, travolgendomi come un’onda anomala.

Vampiri. Non era una metafora. Non era una favola nera per spaventare i bambini. Lui era un vampiro. Una vera creatura della notte, senz’anima, che si nutriva di sangue.

Un urlo mi si strappò dalla gola, disperato e roco, mentre la realtà si faceva strada. I vampiri esistevano. E ora io ero la loro preda.

No. No, no, no. Non stava succedendo. La mia mente si rifiutava di elaborarlo. Non poteva essere reale. Eppure, le zanne affilate che brillavano nella luce fioca, il modo in cui le sue pupille si dilatavano all’odore della mia paura… era innegabile.

Mi dibattei, ma la mia resistenza era inutile; anzi, sembrava quasi divertirlo.

Le sue dita affondarono ancora di più nella mia pelle, le zanne lampeggiarono mentre si chinava su di me, l’alito rancido e pesante. La disperazione mi invase e mi gettai contro il muro, nel tentativo di liberarmi.

«Sporca, disgustosa puttana!» ringhiò il vampiro, con la voce grondante di disprezzo.

«Non posso credere che uno come lui abbia pagato un milione di dollari per te. Che cos'hai di tanto speciale, eh?»

Mi divincolai dalla sua presa ferrea, graffiandogli il braccio con le unghie mentre sibilavo: «Lasciami andare, mostro succhiasangue!». La voce mi tremava di rabbia, ma il corpo era debole mentre lui mi trascinava sempre più lontano dal palco.

La sua mano si alzò e io mi preparai al colpo, stringendo forte gli occhi in attesa dell'impatto inevitabile. Che però non arrivò mai. Lentamente, li riaprii appena e il respiro mi si bloccò in gola. Rimasi immobile, sospesa tra la paura e l'incredulità.

La guardia era sollevata a mezz'aria, con i piedi che penzolavano a diversi centimetri da terra.

La mano dell'acquirente era stretta attorno alla sua gola.

I suoi canini brillavano nella luce fioca, aguzzi e minacciosi, mentre gli occhi color rame ardevano di un bagliore spettrale, di un'intensità quasi ipnotica.

La sua presa sulla gola della guardia era implacabile, una dimostrazione di dominio assoluto. Il suono nauseante di ossa che si frantumavano e di tessuti che si laceravano riempì la stanza, una grottesca sinfonia di potere e dolore.

I vampiri non avevano bisogno di respirare, dopotutto erano morti. Ma questo non li rendeva invincibili. La carne poteva ancora ammaccarsi e le ossa potevano ancora spezzarsi, se sottoposte a una forza sufficiente. E l'acquirente... ne stava usando ben più del necessario.

Indietreggiai barcollando, fino a sentire le spalle premere contro il freddo muro di pietra, mentre il panico si impadroniva di me. Mi portai le dita alla gola, il respiro che mi usciva a fiotti superficiali mentre scrutavo freneticamente la stanza in cerca di una via di fuga. Ma non ce n'era nessuna.

L'espressione dell'acquirente rimaneva fredda, distaccata, come se la lotta dell'uomo nella sua stretta fosse al di sotto della sua attenzione. Non ebbe un fremito, non mostrò alcuno sforzo visibile, eppure la forza che applicava era assoluta, spietata. Il corpo della guardia fu scosso da una convulsione e i suoi rantoli soffocati si trasformarono in gemiti patetici.

L'acquirente si chinò leggermente, la sua voce un sussurro lento e letale.

«Hai dimenticato qual è il tuo posto.» La sua voce era una lama, fredda e spietata, che fendeva il silenzio soffocante. La presa si fece più stretta e lo scricchiolio nauseante delle ossa che si spostavano sotto la pressione fece squarciare l'aria da un urlo lacerante.

«Lei. È. Mia.»

Le parole gocciolarono come veleno, ogni sillaba una sentenza di morte. Il suo sguardo abissale si fissò sulla guardia tremante, inchiodandola sul posto con la pura forza della sua furia.

«Tocca di nuovo ciò che mi appartiene e non mi limiterò a spezzarti le ossa. Ti farò a pezzi, un brandello alla volta, finché nemmeno i nostri simili riusciranno a riconoscere ciò che resterà di te.»

Con un gesto del polso, scagliò la guardia dall'altra parte della stanza. Il suono brutale del suo corpo che si schiantava contro il muro di pietra rimbombò nella camera, seguito da un gemito soffocato.

Il vampiro si accasciò a terra, scosso da spasmi di agonia.

L'acquirente gli rivolse a malapena un'altra occhiata, tornando a concentrarsi su di me. E nei suoi occhi lo vidi: un senso di possesso incrollabile. Una promessa di rovina per chiunque avesse provato a portarmi via da lui.

Lo fissai, paralizzata dall'incredulità.

La guardia — che pesava ben più di cento chili — era stata scaraventata via come se non fosse nulla, il suo corpo aveva colpito il muro con un rumore nauseante. Era stato gettato da parte con la stessa facilità con cui si getterebbe un pezzo di carta appallottolato. La pura disinvoltura di quel gesto, il movimento casuale del polso dell'acquirente, mi fece correre un brivido lungo la schiena.

Non una singola piega increspava il suo abito impeccabile, non una ciocca di capelli era fuori posto dopo il caos che aveva appena scatenato.

Chi era quest'uomo... questo mostro ammantato di eleganza e potere?

«P-perdonatemi... Principe Darius» balbettò la guardia, cercando a fatica di rialzarsi. Ma un solo sguardo del vampiro maestro lo fece ricadere in ginocchio, sottomesso.

Darius?

La guardia teneva gli occhi bassi, la fronte premuta sul pavimento, non osando incrociare lo sguardo di Darius.

«È di vostro gradimento, Maestro?» chiese, con la voce densa di paura e riverenza.

Darius non rispose.

I suoi occhi, scuri e indecifrabili, mi percorsero lentamente, soffermandosi su ogni centimetro di pelle esposta. Incrociai d'istinto le braccia, stringendomi lo stomaco come se potessi proteggermi dal suo sguardo penetrante.

Il silenzio si allungò tra noi. Non riuscivo a immaginare cosa vedesse, ma il fatto che la sua espressione non cambiasse mi fece dubitare che fosse soddisfatto.

«Stai bene?» La sua voce era un mormorio profondo, le parole quasi troppo calme per la situazione. Non ero sicura se fosse una preoccupazione sincera o qualcosa di più sinistro.

La domanda mi colse di sorpresa. Esitai prima di annuire, incerta se fosse un tranello, una prova, o se volesse davvero saperlo.

«Di' al tuo sire di accordarsi con i miei uomini per il pagamento» ordinò Darius, con un tono fermo e deciso, gli occhi ancora fissi nei miei.

«Sì, Principe Darius, qualunque cosa ordiniate» rispose prontamente la guardia, chinando la testa ancora di più.

Ma Darius non distolse lo sguardo da me. La sua espressione indecifrabile non vacillò, lasciandomi in uno stato di profondo disagio, incapace di decifrare i suoi pensieri.

Ero sola con lui, e il peso della situazione mi si depositò nello stomaco come una nebbia fitta. La paura mi serpeggiava nelle vene, gelandomi il sangue, mentre osavo alzare lo sguardo verso gli occhi freddi e di pietra del vampiro che ora credeva di possedermi.

Quello che, probabilmente, mi avrebbe prosciugata fino all'ultima goccia.

No... no.

Appena avessi trovato il momento giusto, sarei sgattaiolata via, e non avrebbe mai capito cosa l'aveva colpito.

I suoi occhi, scuri come la notte, brillavano debolmente di un innaturale bagliore ambrato, come fuoco che covava sotto la cenere. Il suo viso sembrava scolpito nella pietra, ogni lineamento affilato e spietato, senza offrire alcun indizio su cosa stesse pensando. La forza sotto l'abito sartoriale era innegabile, i muscoli che si tendevano con il tipo di potenza che poteva spezzare un uomo con un solo movimento. Non era un vampiro qualunque. Irradiava pericolo, un potere selvaggio.

Senza preavviso, la sua presa si strinse sui miei capelli, costringendomi a piegare la testa di lato ed esponendo al suo sguardo la curva delicata del mio collo. Mi sforzai di mantenere il respiro regolare, di restare calma, ma il panico mi esplose nel petto, facendomi battere il cuore all'impazzata e pulsare il sangue nelle vene. I suoi occhi si fissarono sulla mia giugulare, e sentii il peso primordiale della sua attenzione.

Inspirò a fondo, dilatando le narici come se si stesse godendo il profumo della mia paura.

«Ho sentito che c'era una vergine in vendita» mormorò, la voce bassa, quasi... incuriosita. «Ma non ci ho creduto fino a ora. Le donne pure sono una rarità di questi tempi.»

Il calore mi inondò le guance, un'ondata di imbarazzo che mi travolse.

Diciannove anni e ancora illibata: una cosa di cui non ero mai riuscita a liberarmi. La vergogna mi si contorse nelle viscere, soprattutto ora che sentivo i suoi sensi concentrarsi su quel dettaglio, la sua acuta percezione che coglieva ciò che avevo sempre temuto fosse così evidente.

Le dita affondarono tra i miei capelli, costringendomi a piegare la testa all'indietro finché non ebbi altra scelta che incrociare il suo sguardo. Trattenni un gemito, determinata a non dargli la soddisfazione di vedermi cedere. Sostenni il suo sguardo, senza battere ciglio, anche se il mio corpo urlava di fuggire.

Mi studiò attentamente, l'espressione indecifrabile, ma qualcosa balenò nei suoi occhi: una curiosità intensa che mi fece correre un brivido lungo la schiena. Sembrava cercare qualcosa, la sua attenzione si acuì come se stesse cercando di capire cosa, esattamente, non quadrasse in me.

«C'è qualcosa... di diverso in te» disse, la voce più morbida, sebbene ancora intrisa di quell'incrollabile dominio. «Lo sento, ma non riesco a capire cosa sia.»

L'aria tra noi si fece più densa e deglutii a fatica, incerta su cosa intendesse.

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