Capitolo 8

Baciami, ti prego.

Il pensiero si fece strada nella mia mente, prepotente.

Solo un bacio. Un bacio per saziarmi fino al mattino.

La bocca mi si riempì di saliva. Vedevo le vene sul collo di Lysander gonfiarsi mentre lottava per mantenere il controllo. I muscoli del suo corpo si tesero per lo sforzo.

Poi lo sentii: il suono di artigli che fendevano la carne delle unghie. I miei occhi scattarono sui rostri che spuntavano dalle sue dita. La mia lupa interiore trasalì come se fosse stata colpita.

Vuole farmi del male?

Lysander alzò la mano, gli artigli che luccicavano sotto la luce delle lampade lungo le pareti del corridoio. Le mie zanne si allungarono per reazione. L'adrenalina mi scorreva nelle vene come fuoco, preparando il mio corpo alla battaglia. Prima che potessi muovermi, la sua mano scattò e i suoi artigli si conficcarono nel muro a pochi centimetri dalla mia testa.

Un sussulto mi squarciò la gola. Tremavo mentre fissavo quegli artigli letali, così vicini alla mia giugulare. Lysander incombeva su di me, ansimante, abbassando la fronte fino a premere contro la mia.

«Non ti voglio», ringhiò a denti stretti. «Non è vero.»

Prima che potessi riprendere fiato, e tanto meno rispondere, svanì, scomparendo lungo il corridoio in un turbine d'ombre. Probabilmente verso le sue stanze.

Il petto mi si sollevava in respiri affannosi mentre incameravo aria preziosa. Deglutii a fatica. Per poco non ero stata trafitta dai suoi artigli… eppure, il mio corpo vibrava ancora di desiderio.

Mi passai le mani tra i capelli, tirandone le punte.

Che cosa mi prende?, ringhiai.


Il punto di vista di Lysander

Il respiro mi si bloccò di nuovo nei polmoni mentre guardavo Seraphina chinarsi ad annusare un fiore. Era successo così spesso che avevo perso il conto. Una parte di me temeva che i polmoni potessero scoppiarmi.

Erano passati tre mesi da quando Seraphina era venuta a vivere al Palazzo di Shadowmere con me e la mia famiglia: tre mesi di lenta, infinita tortura. Una volta che mia madre aveva scoperto quali fossero i fiori della sua terra natia preferiti da Seraphina, aveva ordinato ai giardinieri reali di piantarli in tutta la tenuta.

Ora l'intero giardino ne era pieno.

Seraphina emise un mormorio soddisfatto, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Il mio sguardo scese sul suo fondoschiena, che si muoveva sinuosamente per la contentezza.

Stelle, dannatemi…

Era un sedere perfetto. Tondo. Peccaminoso.

Un'immagine mi balenò in mente: le mie mani che stringevano quella curva, il suo respiro che si spezzava mentre la testa le si piegava all'indietro per il piacere. Il mio membro ebbe una contrazione, indurendosi dolorosamente.

Ringhiai a mezza voce, afferrandomelo. Non qui. Non ora.

Scacciai l'immagine con la forza, sostituendola con pensieri di cibo in putrefazione e cripte ammuffite. Lentamente, mi rilassai.

Seraphina si raddrizzò e si voltò verso di me. I suoi occhi scintillavano di calore.

«Che ci fai laggiù?», chiese, facendomi cenno di avvicinarmi. «Dai, vieni! Non mordo. O quasi.»

Mi fece l'occhiolino. Poi ridacchiò.

Deglutii a fatica. Il nodo che avevo in gola si rifiutava di sciogliersi.

In quei mesi, Seraphina era diventata giocosa, quasi maliziosa. Sebbene fin dall'inizio avessi deciso di tenerla a distanza, la lupa si era rifiutata di essere ignorata. Ogni giorno mi cercava, chiedendomi di accompagnarla durante i miei doveri.

All'inizio, provai pena per lei. Le ombre nei suoi occhi parlavano di solitudine e perdita. Così le permisi di seguirmi.

Poi, dopo settimane in cui era lei a cercarmi, cominciai ad alzarmi presto solo per trovarla.

Ben presto, il momento più bello delle mie giornate divenne la curva del suo sorriso, il modo gentile in cui mi augurava la buonanotte, il calore della sua presenza. Le rare volte in cui la nostra pelle si sfiorava… quelle erano diventate il mio sostentamento.

Prima che me ne rendessi conto, era troppo tardi. Me n'ero innamorato.

Mi avvicinai a lei lentamente, mascherando i miei pensieri. «Non saprei», dissi con un sorrisetto ironico. «Quelle tue zanne sembrano pericolose.»

I suoi occhi si scurirono fino a diventare blu notte, attraversati da un barlume ambrato. «Vuoi scoprirlo?» miagolò.

Maledizione. Ecco che il mio cazzo si faceva sentire di nuovo.

Il suo sguardo scivolò sulla tenda che si stava formando nei miei pantaloni di pelle. Spalancò gli occhi e si portò una mano alle labbra per soffocare una risata. Poi, con le guance arrossate, abbassò la testa e si affrettò lungo il sentiero.

Sospirai a lungo. Flirtavamo spesso, ma a volte, come in quel momento, ci spingevamo troppo oltre, e dopo calava l’imbarazzo.

La raggiunsi in poche falcate e continuammo a camminare in silenzio.

Quando passammo accanto alla grande fontana a più livelli, sormontata dalla testa di un cavallo di marmo, mi fermai. L’acqua, nel cadere nella vasca sottostante, scintillava come zaffiri.

I miei pensieri tornarono alla notte in cui l’avevo vista per la prima volta: seduta lì, sul bordo della fontana, con un abito blu illuminato dalla luna. I capelli che catturavano la luce argentea. I suoi occhi che si erano agganciati ai miei, sigillando il mio destino.

Seraphina si fermò al mio fianco. La sua espressione si addolcì.

«È qui che ci siamo conosciuti» mormorò.

Annuii. «Sembra passata un’eternità, anche se sono solo tre mesi.»

«So cosa intendi.»

Le sorrisi dolcemente. Lei ricambiò e, per un istante, tutto sembrò leggero.

Riprendemmo a camminare, ma poi due figure in armatura si avvicinarono. Entrambe indossavano corazze scure e avevano i capelli raccolti in chignon identici e severi. Ai fianchi portavano degli spadini.

Guardie reali.

Mi bloccai. Seraphina fece lo stesso.

«Qualcosa non va?» sussurrò, con la voce tesa.

«Non lo so» risposi.

Si irrigidì. Allungai una mano e gliela passai sul braccio per tranquillizzarla.

«Vostre Altezze» disse una delle guardie, alzando il braccio in segno di saluto.

Ricambiammo con un cenno del capo.

«Il re richiede la vostra presenza nella sala del trono, Principe Lysander» disse.

La temperatura dell'aria crollò di diversi gradi. Il mio sguardo scattò su Seraphina. Aveva gli occhi sbarrati per la preoccupazione e il colore le stava scomparendo dal viso.

Le presi la mano, stringendola piano. I suoi occhi cercarono i miei.

Andrai in guerra? Diventerai mio nemico?

La tirai delicatamente via dal sentiero, lontano dalle guardie.

«Sai che non può riguardare i nostri regni» dissi a bassa voce. «Siamo fidanzati. Mio padre avrà qualcos’altro di cui discutere.»

Si inumidì le labbra. «Sai che questa alleanza è fragile, tenuta insieme solo da noi. E se tuo padre avesse cambiato idea? Mi hai detto tu stesso che cambia idea per molto meno.»

Le feci scorrere le mani lungo le braccia, fermandomi sulle spalle. Tremò al mio tocco.

«Hai ragione. L’ho detto» ammisi. «Ma so anche che vuole la pace, forse ancora più di noi.»

Lei abbassò lo sguardo, la voce appena udibile. «Davvero?»

«Cosa?» chiesi piano.

«La vogliamo davvero, questa pace? Tu parli ancora di non volerti sposare. Vedo come la guardi.»

I suoi occhi ambrati mandarono un lampo.

Non avevo bisogno di chiedere a chi si riferisse.

Rosalina.

Aggrottai la fronte.

«Sai cosa comporta questo trattato, Lysander. Molto più di qualunque… amicizia abbiamo sviluppato.»

Strinsi la presa sulle sue spalle. «Certo che lo so.» La mia voce si addolcì. «Tengo a te, Sera.»

Più di quanto dovrei.

Questa principessa lupa si era presa ogni parte di me. Non avevo mai desiderato niente e nessuno come desideravo lei.

Ma Rosalina… la promessa che avevo fatto a Kieran prima che morisse… Come potevo infrangerla?

Eppure… e il mio cuore?

«Vostra Altezza?» chiese la seconda guardia, facendosi avanti. «Cosa dobbiamo riferire a vostro padre?»

Ringhiai a mezza voce.

Seraphina si sottrasse al mio tocco. Il freddo lasciato dalla sua assenza mi gelò fino alle ossa.

«Va’ da tuo padre» disse piano. «Io… io sarò qui.»

Capitolo precedente
Capitolo successivo