Capitolo 3

Il punto di vista di June

Sconosciuto: Ehi, June. Sono felice che tu abbia scritto. Immaginavo volessi sapere quando dimettono JJ dall'ospedale, così ti ho lasciato il mio numero.

Non ero ancora sicura di chi fosse, ma credevo si trattasse di Tiffany. Di certo Rodney non avrebbe mai detto di essere felice che gli avessi scritto, no?

June: oh, okay. Grazie, immagino.

Sconosciuto: Per ora io e Rodney stiamo facendo un giro in macchina.

Siamo troppo su di giri. Possiamo passare da te?

Okay, decisamente Tiffany. Salvai subito il suo numero come Tiff prima di rispondere. Mi sembrava strano che volesse venire a trovarmi dopo avermi appena conosciuta e averci parlato per la prima volta. Forse era per via degli eventi di quella sera? Vedere un amico rischiare la vita può essere piuttosto traumatico. Io stessa ero scossa e lo conoscevo a malapena, solo di nome. Avevo imparato che le cose che si sentono dire sugli altri sono quasi sempre inaffidabili. La maggior parte delle cose che dicevano su di me non erano vere, eppure tutti ci credevano.

June: Mio padre non fa entrare ragazzi in casa.

Tiff: Np, Rodney è super furtivo.

June: Abbastanza furtivo da evitare delle telecamere piazzate strategicamente che mandano una notifica dritta al telefono dello sceriffo?

Io un modo lo conoscevo, ma mi ci erano voluti anni di abili tentativi. Qualcosa mi diceva che Rodney non sarebbe stato in grado di fare capriole.

Tiff: Cristo, sembra più una prigione. Credo che tuo padre stia facendo confusione tra i suoi lavori.

Risi, sentendo che non aveva tutti i torti. Papà sembrava confondere quello che vedeva là fuori con le cose che pensava potessi fare o che avrei fatto, e per questo mi teneva al guinzaglio corto.

June: Non hai tutti i torti.

Tiff: Possiamo vederci domani? Passiamo a prenderti noi.

June: Probabilmente sarò in punizione, ma ti faccio sapere.

Mandai l'emoji che fa spallucce e appoggiai il telefono a faccia in giù sul comodino, pensando che la conversazione fosse finita, ma un secondo dopo vibrò di nuovo.

Tiff: Sei stata pazzesca oggi. Grazie per aver salvato la vita a JJ. Ti dobbiamo tutti un favore, e mi assicurerò che lui ti ripaghi con gli interessi. Sul serio, rischiare la vita per qualcuno che conosci a malapena? Sei una vera santa, proprio come dicono.

Alzai gli occhi al cielo, detestando il fatto che aver salvato JJ non facesse altro che consolidare l'idea che fossi una santa.

June: Per favore, non chiamarmi così. Sono tutt'altro. Non è che potessi starmene lì a guardarlo morire, sapendo di poterlo salvare.

Tiff: Tutti gli altri si sono dati alla fuga. Va bene, non una santa, un'eroina.

June: Non mi sento tale, ma lo preferisco a santa.

Tiff: E fai bene. Domani passiamo a prenderti.

Buonanotte.

June: Ti ho detto che potrei essere in punizione.

Aspettai la sua risposta, ma non arrivò mai. Qualcosa mi diceva che l'aveva fatto apposta, e che domani si sarebbe presentata alla mia porta, che fossi in punizione o no. Speriamo che il fatto di aver salvato la vita a qualcuno mi eviti una punizione. Quello e il fatto che non avevo nemmeno bevuto. Voglio dire, sul serio, per cosa potrebbe punirmi? Per aver cambiato idea? Francamente, probabilmente lo farebbe. Domattina dovrò cercare di ammorbidirlo.

Decidendo che il sonno era ancora un concetto astratto, dato che avevo ancora i nervi a fior di pelle per il salvataggio di JJ, afferrai la chitarra. Passai gran parte della notte a trasformare il mio trauma in parole, finché non mi sentii meglio. L'acqua calda della doccia contribuì a rilassarmi ulteriormente prima di infilarmi a letto e finalmente crollare verso le tre del mattino. Alle sei suonò la sveglia e uscii per la mia solita corsetta per il paese. Adoravo andare presto la mattina, perché mi permetteva di vedere l'intera cittadina prendere vita.

I negozi aprivano prima, tirando su le saracinesche e aprendo le porte. Ricevevo sempre un saluto e un sorriso da ogni negoziante. Il bello dei piccoli paesi è che tutti conoscono tutti. Non c'è pettegolezzo che non si senta, né segreto che non venga condiviso. Niente resta nascosto a lungo, qui.

Niente.

Quindi, il fatto che JJ fosse scivolato e caduto dalla scogliera, e che a salvarlo fossi stata nientemeno che io, sembrava essere già sulla bocca di tutti. Decisa a non farmi fermare per parlarne, mi infilai gli auricolari, indicandoli ogni volta che qualcuno cercava di attirare la mia attenzione. Mantenni il passo, allontanandomi di corsa da chiunque tentasse di attaccare bottone.

Quando tornai a casa, feci una doccia veloce e iniziai a preparare l'omelette preferita di papà. Saprà benissimo cosa sto facendo, ma la mangerà comunque, e lo mette sempre di buon umore. Arrivò verso le sette, con un'aria distrutta e stanca. I turni di notte erano sempre i peggiori per lui, e d'estate faceva solo quelli. Con un gran sorriso gli sventolai l'omelette sotto il naso appena entrò. Lui si limitò a inarcare un sopracciglio, sapendo che volevo qualcosa.

«Va bene, allora mangiamo e parliamo.» Cedette, prendendomi il piatto dalle mani e dirigendosi verso il piccolo tavolo rotondo che avevamo in cucina. C'eravamo solo io e lui, quindi quel tavolino era tutto ciò di cui avevamo bisogno, anche se era traballante e sempre appiccicoso.

«Lo sai che ieri sera non ho fatto niente di male, a parte dimenticarmi di dirti che uscivo, e solo perché avevo lasciato il telefono a casa.» Iniziai a raffica, sapendo di dover esporre la mia difesa prima che la stanchezza avesse la meglio su di lui.

«Andiamo, tesoro. Ti ho insegnato a non dimenticare il telefono e a non andare da nessuna parte senza assicurarti che qualcuno sappia dove sei. Il mondo è un posto pericoloso.»

«Lo so, papà. Risparmiami la ramanzina. Ti prego. Dimmi solo quanto sono in punizione.» Sospirai, capendo che su quello non avrebbe ceduto.

«Considerando tutto quello che è successo e il fatto che non stavi bevendo, non ti metterò in castigo, ma per il momento ti anticipo il coprifuoco. Devi essere a casa per le nove. Capito? Alle nove in punto, tesoro. In casa, non che stai appena entrando.» Si assicurò che capissi che non avrebbe accettato scuse per nessun ritardo.

«Capito. Grazie, papà.» Sorrisi, dandogli un bacio sulla guancia prima di raccogliere i nostri piatti, ormai vuoti.

«Stai bene? So che non abbiamo avuto molto tempo per parlare di quello che hai visto ieri sera. Fa paura vedere qualcuno che non respira.» Papà mi guardò dal tavolo mentre sciacquavo le stoviglie.

«Sto bene, promesso.» Fissai l'acqua che scorreva dal rubinetto, ricordando il modo in cui JJ aveva sputato l'acqua salata che aveva inalato. Scacciai il pensiero e mi voltai con un sorriso. Un'esitazione in più e mi avrebbe letto come un libro aperto.

«Va bene. Io vado a letto. Conosci le regole. Fammi sapere dove vai. Niente ragazzi, droga o alcol. E stai alla larga da casa Jacobson.» Non ero mai riuscita a capire perché quest'ultima fosse una regola, ma l'avevo seguita alla lettera per tutta la vita. E poi, cosa mai avrei dovuto volere da casa Jacobson?

«Lo so, lo so.» Alzai gli occhi al cielo, sentendomi ripetere quelle regole da sempre. «E non guidare la macchina» dicemmo all'unisono, dato che lasciava sempre quella per ultima.

«Non fare la spiritosa. Lo sai che faccio così solo perché ti voglio bene e voglio che tu sia al sicuro, June.»

«Lo so, papà. Ti voglio bene anch'io. Ci vediamo per cena.» Lo guardai salire lentamente le scale, sentendolo mettere via la pistola prima di udire il suono distintivo delle molle del materasso che cigolavano, segno che si era finalmente sdraiato.

Presi la chitarra e il mio quaderno e mi diressi verso il mio posto nel bosco dietro casa. C'era un grosso masso piatto e liscio in cima. Era sempre fresco e mi dava sollievo dal sole cocente dell'estate quando mi ci stendevo sopra. Appoggiai il quaderno e la chitarra prima di arrampicarmi.

Di solito mi siedo qui a scrivere mentre mi godo la natura al mattino, prima che il caldo diventi insopportabile. Dopo faccio una nuotata e concludo con un'altra corsetta sulla riva, con i piedi nudi che colpiscono le onde mentre si infrangono. Vivevo una vita tranquilla e monotona, ma qualcosa mi dice che dopo la notte scorsa le cose sarebbero cambiate. Come a comando, il telefono vibrò al mio fianco.

Tiff: Stiamo arrivando a prenderti. Suoniamo il clacson quando arriviamo?

June: No! Mio padre dorme. Vi aspetto all'angolo.

Iniziai a rimettere a posto le mie cose, tornando di corsa a casa e nascondendole nell'armadio, fuori dalla vista di papà. Lui pensa che io abbia smesso di scrivere per prendere più sul serio diritto penale. Per il mio compleanno, l'anno scorso, mi aveva persino comprato dei manuali di legge. Papà non ha decisamente talento nel fare regali, ma sapevo che le sue intenzioni erano buone.

Indossavo una canottiera larga e un paio di pantaloncini di jeans con i sandali, e corsi fuori lungo la strada. Il caldo qui durante il giorno è atroce e non ero sicura che Rodney avesse o meno l'aria condizionata in macchina. Molta gente qui guida dei rottami, quindi non mi sarei sorpresa se non l'avesse avuta. Mi legai i capelli mentre continuavo a correre lungo la via, dove vidi la Ford Fusion blu svoltare l'angolo.

Tempismo perfetto.

Capitolo precedente
Capitolo successivo