Capitolo 4
Il punto di vista di June
«Ehi, bellezza! Salta su», gridò Tiff dal finestrino del passeggero, sporgendosi con la testa. Nessuno mi aveva mai chiamata “bellezza”, tanto meno una ragazza. Immaginai che non lo intendesse in senso sessuale, ma fu comunque strano sentirselo dire.
«Dove andiamo?», chiesi mentre prendevo posto sul sedile posteriore, entrando con cautela nel veicolo. Chiusi la portiera e un profumo stranamente piacevole di brezza hawaiana mi avvolse.
«In una grotta a sacrificare la vergine», rispose Rodney con un’espressione seria. Tiff lo colpì sul braccio, rimproverandolo.
«Non farci caso. È scontroso quando dorme poco». Si voltò verso di me, rivolgendomi di nuovo un sorriso amichevole.
Non riuscii a ricambiarlo, limitandomi ad annuire stancamente. Lei era un’estranea per me. Tutta quella situazione lo era. Io non ho amici; ho conoscenti e gente che mi usa per i propri comodi, tutto qui. Anche se, forse, sto correndo un po’ troppo, perché chi ha detto che loro sono miei amici?
«Succede anche a me», risposi, incerta su cos’altro dire.
«Andiamo a prendere JJ in ospedale. Ho pensato che dovessi esserci anche tu».
«Dubito che mi voglia lì», mi lasciai sfuggire, rendendomi conto che probabilmente non era la cosa giusta da dire. Tiff si accigliò per un istante, prima di sfoderare un sorriso scherzoso.
«È meglio per lui che ti voglia lì. Ti deve la vita, dannazione».
Il silenzio in auto fu breve. Tiff fece partire una canzone dal suo telefono, collegato con il cavo aux. Partì Calm Down di Rema e Selena Gomez, nonostante le proteste di Rodney.
«Amore, no. Non di nuovo. Quante volte hai intenzione di ascoltare questa canzone?», sospirò lui, esausto.
Tiff iniziò a cantare e a ballare allegramente al suo fianco, strofinando la spalla contro la sua. Lui cercò di resistere, ma il sorrisetto era evidente. Fu un momento dolce a cui assistere, che mi fece domandare se avrei mai trovato qualcuno da amare una volta andata al college. Sapevo che qui a Lavender Hills non c’era alcuna possibilità, almeno non per me. Non con mio padre nei paraggi.
Arrivammo in ospedale poco dopo e vedemmo JJ in piedi fuori. Era appoggiato a una colonna dell’edificio, con un piede sollevato dietro di sé. Corse verso la macchina con un gran sorriso, che svanì nell'istante in cui mi vide sul sedile posteriore.
«Che ci fa lei qui?», chiese a Rodney, tenendo la portiera aperta come se fosse incerto se salire o meno.
«Sali, coglione. Ti ha salvato la vita», mi sorprese il modo in cui Rodney si rivolse a JJ.
«Ah, davvero?», sbuffò JJ salendo in macchina, come se sedersi accanto a me fosse una vera e propria tortura. Sapevo che era stata una pessima idea.
«Se per “salvarti la vita” intendi tirarti fuori dall’acqua come un idiota e farti la rianimazione cardiopolmonare finché non hai ripreso a respirare, allora sì, ti ho salvato la vita», risposi seccamente, chiaramente infastidita dal suo atteggiamento. «Grazie per il passaggio, ragazzi. A questo punto me ne vado. Capisco quando non sono la benvenuta».
Mentre cercavo di aprire la portiera, sentii la sicura scattare e Rodney partì. Sapevo che mi aveva sentita, ma le gomitate di Tiff gli fecero capire di ignorarmi. Aveva in mente qualcosa. Era chiaro dal modo in cui aveva orchestrato tutta la faccenda, anche se non riuscivo ancora a capire cosa.
«JJ, credo sia giusto ringraziare la persona che ti ha salvato la vita. Non credi?», disse Tiff inarcando un sopracciglio, dimostrando chi comandava in quella macchina. Vedere come gestiva quei ragazzi me la rendeva simpatica e, allo stesso tempo, mi faceva venire voglia di starle alla larga.
«Non le ho chiesto io di salvarmi». Alzò gli occhi al cielo, incrociò le braccia e distolse lo sguardo da me.
«La prossima volta mi assicurerò di lasciarti annegare», replicai.
«Mi piace. Risponde a tono». Tiff ridacchiò, parlando ai ragazzi come se io non potessi sentirla.
«Chissà se fa anche la spia», sogghignò JJ. L’avevo sentita tante di quelle volte, quella frase. Stavano chiedendo se facevo la spia a mio padre, che ogni adolescente chiamava “il porco”. Perché, si sa, i poliziotti sono solo dei porci, a quanto pare.
«Sta’ zitto e basta». Alzai gli occhi al cielo, tenendo lo sguardo fisso fuori dal finestrino. La Pasticceria di Daffodil aveva una fila che arrivava fino alla porta; Delilah aveva sfornato un nuovo dolce, oggi. Capisci che in città non c’è molto da fare quando una buona fetta dei suoi abitanti va in pasticceria per provare un nuovo prodotto da forno.
«Rodney, molliamo questo peso morto e andiamo al nostro solito posto, che ne dici?» disse JJ, tamburellando sul fianco del sedile del guidatore per attirare l'attenzione dell'amico.
«Mi dispiace, amico, oggi comanda Tiff.» Rodney scosse la testa mentre sterzava pigramente con una mano sola, chiaramente divertito dal sorrisetto che cercava di nascondere con l'altra.
«E perciò, andremo al Nook» annunciò lei, rivolgendo a JJ un ampio sorriso, come se sapesse di dargli la peggior notizia possibile.
«Cos'è il Nook?» chiesi, sentendomi per una volta esclusa da qualcosa. So che esistono posti clandestini dove vanno a far festa un sacco di ragazzi della mia età. Ma, essendo la ragazza che non viene mai invitata, non ho la più pallida idea di dove si trovino.
«È il nostro posto, e lei non ci viene. Solo sul mio cadavere, Tiff.»
«Ah, sì? Be', indovina un po'? Sei morto ieri sera, JJ! Sei morto! Quindi non fiatare, dopo il casino che hai combinato. Lei viene, punto e basta, perché è l'unica ragione per cui sei ancora vivo. Le devo tutto per averti salvato, e anche tu. Perciò chiudi il becco, adesso!» urlò Tiff, sorprendendoci tutti.
In macchina calò il silenzio, rotto solo dalla musica di Tiff a basso volume. JJ non mi lanciò altre frecciatine né osò dire un'altra parola per tutto il tragitto. Stavamo raggiungendo i confini della città, avvicinandoci al vecchio magazzino tessile. Un tempo era stato un opificio fiorente, dove si producevano e lavoravano tessuti. Tuttavia, col passare del tempo e il declino dell'industria tessile, il magazzino era caduto in disuso e la gente lo aveva abbandonato. Trovavo strano ogni volta che Rodney parcheggiava nel suo piazzale dissestato.
Tiff fu la prima a scendere dall'auto e mi aprì la portiera con un sorriso smagliante. Si sporse, mi afferrò la mano e mi tirò fuori, facendomi strada mentre i ragazzi ci seguivano a qualche metro di distanza. Stavano bisbigliando tra loro, parlando chiaramente di me, ma non riuscii a capire una sola parola di quello che dicevano. Tiffany mi guidò verso un muro che, come capii subito, era finto: lo spinse, rivelando una stretta scala che scendeva verso una serie di tunnel. Erano debolmente illuminati da alcune lanterne e ci conducevano sempre più in profondità nel sottosuolo.
Tiff sapeva esattamente dove stava andando, ma io mi resi conto che se avessi provato a tornare indietro mi sarei persa. Alla fine sbucammo nella sala principale, accolti da un'atmosfera grezza e alternativa. I muri erano adornati di graffiti, anche se definirli graffiti o arte dipende dalla persona a cui lo chiedi. Erano assolutamente sbalorditivi, mi tolsero il fiato mentre li osservavo da vicino.
L'aria era impregnata di un odore d'incenso che aggiungeva un tocco di mistero all'ambiente. C'era una collezione di mobili spaiati, chiaramente recuperati da varie fonti. Vecchi divani, pouf e casse riadattate fungevano da sedute. In un angolo c'era un jukebox vintage, circondato da pareti coperte di poster di band e artisti famosi che riconobbi subito. Accanto al jukebox c'era un bancone improvvisato con degli snack e un mini-frigo che Rodney aprì per rivelare delle bibite. Ne prese un paio, dandone una a ciascuno di noi.
«Grazie» mormorai, sentendo lo schiocco della lattina che si apriva mentre bevevo un sorso di quel liquido rinfrescante.
«Benvenuta al Nook» disse Tiffany, girando su se stessa al centro della stanza con le braccia aperte.
JJ armeggiò con il jukebox e fece partire "Do You Wanna Dance" dei Ramones. Si voltò con un sorriso che mi fece battere forte il cuore. Quello stronzo era troppo bello per il mio bene. Sorseggiai la mia bibita, guardando Tiffany e Rodney che ballavano goffamente insieme. Erano carini e vederli fare gli scemi mi fece sorridere.
«Non ti ho chiesto di rischiare la vita per me, quindi non pensare di dovermi qualcosa» disse JJ, che ora era in piedi accanto a me e guardava i suoi amici.
«Non ho detto che l'hai fatto. Non voglio niente da te.» Ma perché trovo attraente questo idiota?
«Ne sei sicura?» fece lui con un sorrisetto. «Pensavo che magari volessi un bacio. Sentivo il sapore del tuo burrocacao quando ho ripreso conoscenza.»
Credo di aver perso le staffe, perché senza pensare gli tirai un pugno dritto in faccia.
