Capitolo 6
Il punto di vista di June
«Mi trasferisco a New York anch’io» sorrisi, senza voler entrare nei dettagli. Non volevo mentirle, ma non volevo neanche che poi lei dovesse mentire a mio padre.
«Ma dai!» squittì lei tutta emozionata, costringendomi a zittirla. «Scusa, lo so che a volte sono un po’ rumorosa» sussurrò, abbassando la testa per la vergogna.
«Tranquilla. Voglio solo evitare di svegliare mio padre. A me non dai fastidio. Anzi, onestamente, un po’ meno silenzio nella mia vita non guasterebbe.» Mi sorrise mentre mi sedevo accanto a lei.
«Suonami qualcosa, June. Voglio sentirti.» Ero riluttante, ma dopo molte insistenze da parte di Tiffany, afferrai la mia semplice chitarra acustica Yamaha e la condussi fuori. Quando fummo abbastanza lontane da casa perché papà non potesse sentirci, suonai How Deep Is Your Love dei Bee Gees. Ho sempre pensato che la mia voce rendesse al meglio su quella tonalità.
Tiffany si appoggiò con la schiena al grande pino, limitandosi a guardarmi. La cosa mi rendeva estremamente nervosa, ma sapevo che, da aspirante musicista, era qualcosa che avrei dovuto superare. Così tenni gli occhi aperti, cercando di abituarmi alla sensazione di essere osservata.
Mentre cantavo, la voce non mi tremò né cedette al battito accelerato del cuore. Quella era sempre stata la mia canzone preferita da cantare con mia madre, quindi le ero molto legata. Quando finii, Tiffany rimase così in silenzio da rendermi ancora più ansiosa.
«Oh, mio Dio! June, sei bravissima!» esclamò, con la bocca leggermente aperta per lo stupore.
«Non sono un granché.» Scossi la testa, perché non essendo abituata a ricevere complimenti, non sono di certo abituata ad accettarli.
«Ma che dici? È stato fantastico! Dovresti cantare alla serata open mic!» disse, elettrizzata all’idea.
«No!» sbottai subito, in modo un po’ troppo brusco. «È che mio padre… non sa che canto ancora, e non voglio che lo scopra.»
L’espressione di Tiff si addolcì. «Non dev’essere facile essere la figlia dello sceriffo.» Fece una smorfia, mostrandomi una grande comprensione. Era più di quanto mi aspettassi.
«A volte no.» Abbassai lo sguardo sulle pigne che ricoprivano il terreno, per non farle vedere il vero tumulto che avevo dentro.
«Che ne dici se mi fermo a cena? Voglio conoscere tuo padre.» Sorrise.
«Non lo so, Tiff. Mio padre sa essere pesante.» Scossi la testa, alzando gli occhi sul suo viso dolce. I capelli le brillavano al sole con le loro mille sfumature colorate, cosa che non faceva altro che aumentare i miei dubbi. Papà si sarebbe fatto subito delle idee su di lei dal suo aspetto e dalle sue frequentazioni. Non le avrebbe detto nulla di scortese, ma di sicuro mi avrebbe fatto una ramanzina dopo che se ne fosse andata. Il mio coprifuoco si sarebbe probabilmente trasformato in una punizione.
«Credo che ti dimentichi chi sono i miei genitori.» Mi rivolse un mezzo sorrisetto, divertita. In effetti, per un attimo me n’ero dimenticata. Avendo passato tutto il giorno con lei, mi ero scordata che fosse la pecora nera della famiglia del sindaco.
«È vero, me n’ero dimenticata. Non assomigli per niente alla tua famiglia» dissi con un sorriso, ma lei sembrò improvvisamente amareggiata dal mio commento. «Ed è un complimento, Tiff. La tua famiglia è tutta rigida, con quei sorrisi tirati e quel continuo blaterare di quanto sia fantastica questa città o di quanto sia bravo tuo padre come sindaco. Io preferisco i tuoi sorrisi genuini e il tuo carattere spumeggiante all’arroganza di tuo fratello.» Alzai gli occhi al cielo, pensando al nostro studente modello Tyler, o Ty, come lo chiamano tutti. A quelle parole Tiffany rise, mostrandomi di nuovo il suo sorriso.
«Grazie, June. Credo che adesso mi piaci ancora di più. Quello che cercavo di dire è che, essendo la figlia del sindaco, so come trattare con le persone.»
La guardai mentre si sfilava l’elastico dal polso e si legava i capelli in modo strategico, così da nascondere ogni ciocca colorata. Con i suoi capelli biondo platino era difficile coprirle del tutto, ma ora sembravano solo i resti di una tinta sbiadita.
«Beh, allora va bene. Immagino che ti fermi a cena. A proposito, forse dovrei iniziare a prepararla.» Non mi ero accorta che fossero già le cinque; mi ero divertita troppo con Tiff per fare caso all’ora.
«Ti aiuto, anche se non ho molta esperienza.»
Entrammo e tirai fuori tutto il necessario per una cena veloce a base di spaghetti al ragù. Chiesi a Tiff di aiutarmi a tagliare i peperoni, le cipolle e l’aglio, mentre io mettevo a bollire l’acqua e cuocere la carne macinata. Sentivo papà che si svegliava e iniziava a farsi la doccia; sapevo che sarebbe sceso entro un quarto d’ora. Tiff rendeva anche la cucina un’attività divertente: aiutava come poteva, ma soprattutto teneva viva la conversazione per tutto il tempo.
«Oh, non hai idea. Tyler a volte sa essere un vero rompiscatole» disse Tiff alzando gli occhi al cielo, raccontandomi tutte le seccature di avere dei fratelli.
«Io ho un fratellastro, Liam, ma non ci parliamo e non sappiamo molto l’uno dell’altra. Vive con mia madre a Boston e ci teniamo alla larga ogni volta che vado a trovarla. Il che non capita spesso» dissi con un’alzata di spalle, sciacquando la pentola che avevo usato. Tiff me la prese di mano e la mise in lavastoviglie proprio mentre papà entrava in cucina.
«Ma guarda un po’» la salutò lui con un sorriso, ma era il sorriso che sfoderava quando non si fidava di qualcuno. «Non sapevo avessimo ospiti, tesoro». Ed eccoci qua, mi aspettava una ramanzina sulla necessità di fargli sapere chi sarebbe stato in casa.
«Buonasera, signore. Sono Tiffany Daniels. Dopo aver visto sua figlia salvare la vita a una persona ieri sera, non ho potuto fare a meno di diventare sua amica. Spero non sia un problema se mi fermo a cena. Immagino che vorrà conoscermi meglio, in quanto nuova amica di sua figlia». Tiffany non esitò un istante nel salutare mio padre, lasciando a bocca aperta entrambi.
«So chi sei, cara. Sei la ragazza di Rodney Calester. Quella che, perlopiù, lo tiene fuori dai guai. Che combina stasera, se tu sei qui?» chiese papà, cercando di carpire informazioni.
«Ne so quanto lei, signore. Però ha promesso di non cacciarsi nei guai. Ma questa non era una domanda su di me, o sbaglio?» lo incalzò Tiffany senza pensarci due volte, facendomi sorridere divertita.
«Hai ragione, non lo era. Allora, dimmi, Tiffany, cosa fai per divertirti?» le chiese, prendendo posto a tavola. Tirai fuori la sedia in più che tenevamo per gli ospiti e la misi tra me e papà per Tiff.
«Facile. Esco quasi sempre con Rodney. Quando non siamo insieme, mi trova o a nuotare ed esplorare alla baia, oppure alla pasticceria Daffodil ad ascoltare musica e leggere» rispose lei con un sorriso. «E lei, signore? Cosa fa per divertirsi?».
Papà tossì, rischiando di strozzarsi con gli spaghetti. Nessuno di noi due si aspettava che lei gli avrebbe fatto delle domande a sua volta. Non credo che nessuno fosse mai stato così audace. La cosa ci sbalordì entrambi. Il suo modo di chiedere non era stato né sgarbato né offensivo, quindi a papà non diede fastidio. Semplicemente, lo aveva colto di sorpresa più di ogni altra cosa.
«Chi ha detto che lo sceriffo si diverte?» chiese lui, scherzando, il che mi fece capire che gli piaceva. Punto per me!
«Di certo non farà lo sceriffo ventiquattr’ore su ventiquattro, sette giorni su sette» ribatté lei con un sorrisetto.
«Lui è sempre lo sceriffo» risposi io, avendolo imparato molto tempo prima. «È solo lo sceriffo più mio padre. O lo sceriffo più il cliente. Il cappello da sceriffo non se lo toglie mai».
«Questo deve significare che le piace così tanto quello che fa. Non riesce a smettere nemmeno per un secondo» disse Tiff, fissando il cibo nel piatto. «Mio padre di cappelli ne indossa anche troppi».
Non avevo mai pensato alla gioia che il lavoro potesse dare a papà. Il modo in cui Tiff l'aveva detto mi fece pensare a come mi sentivo io quando scrivevo musica. Che io e papà avessimo la stessa passione, ma per cose diverse? Di sicuro mi aveva dato un nuovo spunto di riflessione.
«Posso solo immaginare. Dopotutto, è il sindaco. Di solito fanno un sacco di cose».
Papà era tornato a casa lamentandosi del vecchio sindaco Roy una manciata di volte. Stava solo trattenendosi sull'argomento perché Tiff era sua figlia. Altrimenti, ci saremmo dovuti sorbire una filippica intera sui cambiamenti che voleva apportare alle forze dell'ordine e che papà odiava con tutto se stesso.
«Ha la tendenza a mettere il naso in faccende che non lo riguardano» replicò Tiffany, prendendo un boccone. «È delizioso, June. Sei un’ottima cuoca!».
Da quel momento, papà iniziò a tastare con cautela le acque della sua arringa. Vedendo che Tiff era d'accordo su alcuni punti, si avventurò sempre più a fondo nel suo sproloquio. Alla fine, era partito in quarta e lei gli teneva testa. Credo avesse appena cementato questa amicizia.
