Capitolo 9
Il punto di vista di June
«June! Finalmente hai richiamato. Dove sei adesso?» sbottò subito Tiffany, rispondendo al telefono con un entusiasmo quasi esagerato.
«Sono in spiaggia, vicino al negozio di surf. Va tutto bene?» le chiesi mentre mi dirigevo verso il marciapiede. Aggrottai le sopracciglia, preoccupata, chiedendomi perché mai mi avesse chiamata e scritto così tante volte.
«Tutto alla grande! Papà mi ha appena detto che oggi pomeriggio parte per Ibiza e starà via qualche giorno! Ty sta organizzando una delle sue stupide feste da sballo, quindi ho pensato di chiedere se potevo passare la notte da te. Salvami, June» mi supplicò, spazzando via ogni mia insicurezza. Non mi aveva invitata alla festa perché non era sua. Anzi, stava cercando rifugio da me.
«Chiedo a mio padre, anche se con lui è un terno al lotto» risposi, e lei si mise a ridere.
«Nessun problema. Mi presento per cena e lo convinco prima che vada al lavoro. Fidati di me.» Sembrava così sicura di sé che mi venne voglia di crederle.
«Ok, però non ho un letto in più da offrirti, solo il divano.» L'idea che dormisse sul divano di sotto non mi piaceva molto. Mi sembrava troppo esposta, con tutte quelle finestre facili da raggiungere. Do la colpa a mio padre per le mie paranoie esagerate.
«Non vuoi dividere il tuo letto con me?» Dal tono della voce, potevo quasi vederla mettere il broncio.
«Beh, immagino di sì.» Non pensavo che le sarebbe andata bene. E a me?
«Evvai! Ok, Rodney mi porta da te verso le sei, e poi userò la mia magia su tuo padre.» Ridacchiò, e in sottofondo sentii i borbottii di Rodney. «A dopo, June!»
«Ciao, Tiff.»
Mentre tornavo a casa mi sentivo benissimo, per una volta elettrizzata per qualcosa. Avevo Le Tigre nelle orecchie e mi era impossibile non ballare mentre camminavo. Muovevo la testa a tempo sulle note di “Slideshow At Free University”. So che alcuni trovano questa canzone strana, ma io ne adoravo il ritmo. Quando arrivai a casa, trovai una macchina della polizia nel vialetto, del tutto inaspettata. C'era Nash, che mi rivolse un ampio sorriso con quel suo viso diabolicamente affascinante. Indossava la divisa, il che significava che era lì per una questione ufficiale e non personale. Nash aveva solo un paio d'anni più di me ed era il vice sceriffo più giovane della città. Oserei dire che fosse anche lo scapolo più ambito, con quella mascella definita, i capelli scuri e due penetranti occhi color nocciola. Ricordava molto un giovane Tom Welling.
«Ehi, June. Ho provato a suonare il campanello, ma credo che tuo padre dorma troppo profondamente per sentirlo. Ti dispiace farmi entrare così posso parlargli? È importante» chiese, il più educatamente possibile. Giuro che quel sorriso doveva esserselo studiato, perché era troppo perfetto per essere naturale.
«Sì, certo. Nessun problema» annuii, dirigendomi verso la porta, improvvisamente scossa.
«Sei appena tornata da una nuotata?» mi domandò, cercando di fare conversazione mentre mi aspettava.
«Sì, l'acqua era un po' troppo calda per i miei gusti.»
«So cosa intendi. Non è il massimo entrare nell'acqua calda quando fuori fa questo caldo. È un costume nuovo?» Ero felice di dargli le spalle mentre me lo chiedeva, perché sapevo senza bisogno di guardarmi che le mie guance dovevano essere diventate rosa. Non solo mi stava guardando il corpo, ma aveva anche notato che non era il mio solito costume.
«No, ce l'ho da un po', solo che non lo metto spesso» risposi, spingendo la porta dopo averla sbloccata.
«Questo mi piace di più» disse con un sorrisetto, facendo un cenno educato con il cappello mentre saliva le scale. La maggior parte dei vice conosceva quella casa come le proprie tasche. Papà ci teneva sempre a trattare i suoi colleghi come se fossero di famiglia. Mi diceva che, quando non era a casa, quelle persone erano la sua famiglia e dovevano guardarsi le spalle a vicenda.
Seguii Nash su per le scale, perché avevo bisogno di farmi una doccia e cambiarmi. Lui bussò alla porta della camera di papà mentre io entravo nella mia. Afferrai in fretta i vestiti e mi diressi verso il bagno nel corridoio. Purtroppo non ne avevo uno in camera, ma quel bagno era praticamente solo mio, dato che papà ne aveva uno nella sua stanza e al piano di sotto ce n’era un altro di servizio per gli ospiti. Sentivo Nash e papà parlare attraverso la porta, ma non mi misi a origliare. Qualunque cosa fosse, non era necessario che la sapessi. Non ci misi molto sotto la doccia, lavandomi velocemente i capelli e togliendomi di dosso l'odore di salsedine. Uscendo dal bagno, andai a sbattere contro Nash. Ma proprio sbatterci contro fisicamente, finendo contro il suo petto mentre mi giravo dopo aver chiuso la porta. Mi afferrò al volo, tenendomi in equilibrio prima di lasciarmi andare. Ero mortificata. Come avevo fatto a essere così imbranata?
«Scusami tanto» mi affrettai a dire, incapace di guardarlo in faccia.
«Tranquilla, non ti preoccupare» disse, costringendomi ad alzare lo sguardo e a rivedere quel suo sorriso. «Stai bene?»
«Sì, sto bene. Scusami ancora» mi scusai di nuovo, perché a quanto pare era l'unica cosa che sapessi fare in quel momento.
«June, va tutto bene, davvero. Devo tornare al lavoro. Grazie ancora per avermi fatto entrare.» Fece di nuovo un cenno di gratitudine con il cappello, come se fosse una specie di cowboy. Signore, aiutami tu.
«Stai attento là fuori» dissi, facendomi da parte per lasciarlo passare.
«Sempre. Anche se non mi dispiace che ti preoccupi per me.» Mi fece l'occhiolino con un sorriso sfacciato mentre mi passava accanto, e il suo commento mi inchiodò sul posto. Il cuore prese a battermi forte per l'emozione al pensiero che Nash potesse aver appena flirtato con me. Riuscii a muovermi di nuovo solo quando sentii la porta d'ingresso chiudersi.
Corsi in camera mia, sentendomi improvvisamente euforica. Mi ci volle un attimo per calmarmi e ragionare lucidamente. Era impossibile che Nash stesse flirtando con me. Papà l'avrebbe ucciso, probabilmente, e sono sicura che lui lo sappia. Avevo compiuto diciotto anni a dicembre, quindi erano passati solo sei mesi da quando ero diventata maggiorenne. Sicuramente non mi vedeva in nessun altro modo se non come la figlia del suo capo. Giusto?
