Capitolo 1- La ragazza nella gabbia d'argento

Il punto di vista di Elowen Skye Thorne

La prima cosa che sentii fu l'odore di caffè e cannella, ma non riuscì a scacciare il suo viso dalla mia mente.

La ragazza nella gabbia d'argento.

Anche con la luce del mattino che inondava la stanza e il sommesso brusio dei miei compagni che parlavano, riuscivo ancora a vederla, rannicchiata in quella gabbia d'argento, coperta di lividi, con i suoi occhi castano dorato che mi bruciavano dentro come un marchio a fuoco. Non avevo ancora detto una parola, ma sentivo il petto serrato, come se qualcosa di sacro si stesse agitando lì dentro.

«È stata una chiamata dell'anima», sussurrò di nuovo Lyssira, la sua voce bassa e urgente nella mia testa. «L'hai sentita perché il suo spirito ha gridato e il tuo ha risposto. Sai cosa significa».

Sì. Lo sapevo. Sospirai pesantemente, passandomi le mani tra i capelli. Un altro giorno e avrei potuto ricominciare a camminare. A rimettere in moto il corpo. A riprendermi il mio fottuto potere. Ma la mia anima? Stava già correndo a perdifiato verso una ragazza rinchiusa in una maledetta gabbia.

Mi misi a sedere lentamente, facendo una smorfia per il lamento dei muscoli. I miei compagni se ne accorsero subito, perché ovviamente se ne accorgono sempre.

«Piano, amore», disse Lachlan dall'altra parte della stanza, il suo accento scozzese intriso di preoccupazione mentre mescolava una tazza di tè che profumava di miele e spezie. «Il tuo corpo si sta ancora riprendendo. Non forzare troppo».

«Sto bene», borbottai.

«No, non stai bene», disse Daxon senza mezzi termini, appoggiato alla finestra con le braccia incrociate sul petto incredibilmente ampio. I suoi penetranti occhi tempestosi erano fissi su di me, senza battere ciglio. «Sei tesa da morire. Che succede?».

Il letto si mosse accanto a me quando Ashrian si mise seduto, con lo sguardo dolce e attento. «È di nuovo per il sogno?».

Annuii. «Sì. Lei. La ragazza nella gabbia d'argento. Non riesco a togliermela dalla testa. E non è solo un'immagine che mi tormenta. Lyssi ha detto che è una chiamata dell'anima. È reale. Sta chiamando noi».

Ci fu una pausa. Persino Vaelrix, che era a torso nudo e sdraiato come l'arrogante re drago che è, si immobilizzò. I suoi occhi dorati si assottigliarono.

«Stai dicendo che Lucien ha un'altra prigioniera?», domandò, con una voce che era un misto di fumo e tuono.

«È in una gabbia», dissi. «Sbarre d'argento. Piena di lividi. Lotta come una furia. Non so ancora chi sia, ma l'ho sentita. Non è una semplice visione. È destinata a noi».

Bram grugnì mentre mi preparava il piatto. «Allora ce la andiamo a prendere. Nessuno merita di restare rinchiuso in un posto del genere».

«Si trova nei suoi alloggi privati», aggiunsi. «Voglio mandare una squadra. Che vada in ricognizione. Che veda se c'è un modo per tirarla fuori».

La voce di Taya arrivò attraverso la porta socchiusa. «Mi avete chiamata?».

Entrò con Rylen alle sue spalle, entrambi già in tenuta da combattimento, perché in quel castello il caos non dormiva mai. Taya si lasciò cadere sulla sedia più vicina e appoggiò gli stivali sul tavolo, da vera piantagrane qual è.

«Sai che adoro le missioni del tipo “chi la fa l'aspetti”» disse. «Qual è l'obiettivo?»

«Gli alloggi di Lucien» risposi. «C'è una ragazza lì. Forse un'altra ibrida. Forse anche peggio. Mi servono occhi sul campo. Ve la sentite di andare in ricognizione?»

Rylen sogghignò. «Domanda stupida.»

«Sei sicura di essere pronta a ricominciare a pianificare operazioni?» chiese Daxon, avvicinandosi. La sua voce era gentile, ma la sua energia da alfa si sprigionava comunque a ondate. «Stai ancora guarendo.»

«Ancora un giorno e avrò il permesso di camminare» dissi. «Non darò ancora l'assalto a nessuna torre, ma non resterò con le mani in mano mentre qualcun altro soffre.»

Jace e Amaris fecero capolino nella stanza come i fratelli impiccioni e violenti che erano nati per essere.

«Missione?» chiese Jace. «Ci stiamo.»

Amaris annuì. «Missione di salvataggio? Assolutamente dentro.»

Ashrian mi passò una tazza di caffè e l'accettai con le mani che tremavano leggermente. Il cuore mi batteva ancora all'impazzata. C'era qualcosa in tutta quella situazione che sembrava… enorme. Enorme a livello del destino.

Poi accadde. Ash si sporse, solo per toccarmi la parte bassa della schiena, e io persi il controllo. Un flashback. Il mio corpo ebbe uno scatto. Mi si mozzò il respiro. E il mio pugno partì. Lo afferrò appena in tempo, con gli occhi sgranati… ma non per la paura. Per la comprensione.

Mi bloccai. Inorridita. «Oh dei, Ash!» La voce mi si spezzò. «Non volevo… cazzo… non ho neanche pensato, ho solo…»

«Shh» disse lui dolcemente, abbassandomi la mano. «Va tutto bene.»

«No, non va bene per niente. Ti ho quasi tirato un pugno in faccia.» Gemetti sonoramente, coprendomi il viso con le mani.

«Non l'hai fatto, El» disse Bram con fermezza, posandomi un piatto davanti. «Questo è ciò che conta.»

«Mi sento come se stessi cercando di strisciare fuori dalla mia stessa fottuta pelle» ammisi, con le parole che mi si strozzavano in gola. «Mi sento ancora incatenata. Ancora a pezzi.»

«Non sei a pezzi» ringhiò Daxon, accovacciandosi al mio fianco. «Sei ammaccata. Stai soffrendo. Ma sei sempre tu. Sei sempre la nostra Regina.»

Vaelrix si inginocchiò dall'altro lato, sfiorandomi il ginocchio con le nocche. «Hai avuto un soprassalto. E allora? Io sputo fuoco nel sonno e la settimana scorsa ho quasi incenerito uno stalliere. Pensi che qualcuno di noi sia perfetto?»

«El» sussurrò Ashrian. «Incassei cento quasi-pugni se significasse averti ancora qui con noi.»

Lachlan si fece avanti, facendo scivolare la sua mano calda nella mia. «Hai il diritto di lottare, mo ghrá. Lascia che ne portiamo un po' noi il peso, quando tu non ce la fai. È per questo che siamo qui, cazzo.»

Sbattei le palpebre più volte, cercando di trattenere le lacrime. «Non mi merito nessuno di voi.»

Bram si chinò e mi baciò la sommità della testa. «Peccato. Ci hai comunque.»

Dall’altra parte della stanza, Taya sollevò la sua tazza. «Ora che abbiamo avuto il nostro momento di connessione emotiva, possiamo passare alla parte in cui facciamo irruzione a casa di Lucien e spacchiamo tutto?»

Risero tutti, perfino io. Appena un po’. Mi guardai intorno, verso la mia famiglia caotica, i miei compagni, i miei amici, il mio branco d’anime, e sentii di nuovo quel richiamo nel petto. Più forte. Più potente.

La ragazza nella gabbia d’argento stava aspettando. E non l’avrei lasciata morire lì dentro.

Non finché ci fossi stata io, maledizione.


Il punto di vista di Taya Quinn

Pianificare il salvataggio

«Ok, regola numero uno,» dissi, facendo roteare un pugnale tra le dita per poi piantarlo con noncuranza sulla mappa della torre di Lucien, «se brilla, pulsa, sussurra o geme, non toccatelo, cazzo.»

Jace alzò la mano. «Nemmeno se geme in modo seducente?»

«Soprattutto in quel caso,» borbottò Rylen senza alzare lo sguardo, mentre una planimetria incantata brillava sotto le sue mani.

Amaris sospirò e mi porse un muffin, come se potesse in qualche modo migliorare la mia pazienza.

Spoiler: funzionò.

Sei solo invidiosa perché la torre di Lucien è più bella della tua parete di coltelli da lancio, sbuffò Zuki nella mia testa. In risposta, emisi un ringhio.

«Posso rimediare.»

La stanza vibrava di energia mentre mettevamo insieme il piano: furtività, velocità e incantesimi. Un attacco di alto livello con basse probabilità di sopravvivenza. Il mio genere preferito. Poi la porta si aprì con un cigolio e la temperatura cambiò. Alzai lo sguardo e quasi mi strozzai con il caffè.

Druen Fenrath entrò nella stanza come un fottuto fantasma che cammina. Grosso, imponente, vestito di nero e ancora con quell’espressione da “non provate a rompermi le palle” che ricordavo dai tempi in cui eravamo nella squadra d’assalto di Elona. Quell’uomo si muoveva come un’ombra dotata di zanne.

E accanto a lui, la sua compagna, la Principessa Rivena. Nobiltà Lycan in un’armatura di pelle che sembrava costare più del mio intero guardaroba. Regale. Letale. I suoi occhi ambrati scintillavano di sfida, come se avesse appena osato qualcuno a sottovalutarla.

E dietro di loro, il secondo compagno di Rivena, il Principe Lazurien, l’erede delle driadi. Sembrava scolpito nel chiaro di luna e nella seta, e poi immerso nell’arroganza. Capelli biondo argento, tatuaggi verde brillante che gli risalivano sul collo e un sorrisetto compiaciuto che diceva che sapeva benissimo di far girare la testa a tutti.

«Be’, be’, guarda un po’ chi si rivede,» dissi, sogghignando a braccia conserte.

Gli occhi di Druen, quegli occhi da licantropo, profondi, tempestosi e inquietanti, si fissarono sui miei. «Ho sentito che stai organizzando una missione negli alloggi di Lucien.»

Scrollai le spalle. «Forse. Era iniziata come una missione di ricognizione, ma sto pensando di trasformarla in una di salvataggio.»

Rivena fece un passo avanti, la sua voce suadente e autoritaria. «Ti serve una squadra. Ci offriamo volontari.»

Mmm, dei rinforzi reali e sexy? Questa missione di salvataggio si è appena trasformata in una sfilata di moda, ululò Zuki nella mia testa.

Druen incrociò le braccia, i muscoli che si tendevano sotto il cuoio. «Sai che sono già stato in quella torre. Ho guidato una squadra di ricognizione lì due anni fa. Conosco ogni vano scala, ogni porta nascosta e ogni punto di blocco magico.»

«E io,» disse Rivena con un sorriso tagliente, «ho cinque generazioni di addestramento al combattimento, dieci lame nascoste addosso e una vendetta personale contro la stirpe di Lucien. E contro i vampiri in generale, a dire il vero.»

Lazurien si intromise con fare pigro, ispezionandosi le unghie come se fosse già annoiato. «E io posso far crescere rovi spinati sotto la pelle dei tuoi nemici e farli cantare di agonia. Se ti piace il genere.»

«Mi piace,» disse Jace con un ghigno.

Guardai Rylen. «Beh?»

Rylen si strinse nelle spalle, con uno scintillio negli occhi. «Non sto dicendo di no.»

Mi voltai di nuovo verso il trio. «Benvenuti nel caos.»

Amaris passò a Rivena una copia della griglia di protezione della torre. «Entriamo con un portale dal balcone del giardino. Lucien non se lo aspetterà, tiene le sue forze d'élite all'ingresso principale, non sul tetto. Da lì ci dividiamo: squadra di distrazione e squadra di estrazione.»

Jace si sporse sul tavolo, indicando un punto con un bastoncino di cannella mangiato a metà. «Io e Amaris prendiamo il fianco est, creiamo ombre e mandiamo a puttane le protezioni. Druen, tu guidi l'assalto attraverso il santuario interno. Te li ricordi i corridoi, vero?»

Lui annuì. «Meglio di quanto ricordi gran parte della mia infanzia.»

Affascinante, disse Zuki nella mia testa, ricordami di scriverlo sulla sua lapide se le cose dovessero andare storte.

Solo se usi l'inchiostro glitterato, le risposi per le rime.

Guardai Rivena. «Te la cavi a gestire la folla?»

Lei sguainò due pugnali d'argento da sotto la corazza. «Sono nata per questo.»

«E Lazurien,» dissi lentamente, «tu sei il nostro dio omicida a base vegetale. C'è modo di silenziare quelle protezioni rampicanti stridenti che Lucien adora tanto?»

Lui alzò gli occhi al cielo. «Tesoro, io non le silenzio. Le sostituisco.»

L'intera stanza si illuminò di ghigni e sete di sangue. Era questa. Questa era la squadra. Sette anime letali, divine e fuori di testa, pronte a lanciarsi nel cuore dell'inferno per una ragazza intrappolata.

«Partiamo al crepuscolo,» dissi.

Finalmente, fece le fusa Zuki nella mia mente. Andiamo a uccidere qualcosa.

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