Appartenere

Lui

Parcheggiai la macchina nel parcheggio della scuola, infilai le chiavi in tasca, gettai la borsa sulla spalla e buttai la sigaretta del mattino per terra prima di spegnerla con il piede. Con un lungo sospiro, masticai un pezzo di gomma per cercare di mascherare l'odore di fumo.

Tutti si girarono verso di me mentre attraversavo il parcheggio. Odiavo gli sguardi che mi lanciavano. Odiavo le voci che inventavano su di me. Odiavo tutto di loro. Serrai i denti, sistemai gli occhiali da sole sul naso e feci una smorfia.

Mi sentivo come un pesce fuor d'acqua, che si dimenava nella vita. Tutti mi guardavano con paura, curiosità o pietà. Era stancante dovermi difendere continuamente. Così smisi. Lasciai che le voci continuassero, lasciai che le conversazioni riecheggiassero nei corridoi.

I sussurri si moltiplicavano mentre camminavo, ma almeno alcuni di loro iniziarono a distogliere lo sguardo. Il chiacchiericcio aumentò solo quando entrai, il corridoio freddo, le piastrelle bianche riflettevano le luci fluorescenti appese al soffitto.

Mi irrigidii, sapendo che stavo per passarle accanto. Il suo armadietto era all'ingresso della scuola e io, sfortunatamente, dovevo torturarmi con la sua vista. Era sempre sorridente, sempre felice. Quella luce era sparita ieri, però, e la preoccupazione fiorì nel mio cuore.

Girando l'angolo, pronto a distogliere lo sguardo da lei dopo averla vista, mi bloccai. Mi stava guardando dritto negli occhi, come se mi stesse aspettando. Inspirai lentamente, annuendo verso di lei, e lei sorrise dolcemente, chiudendo la porta dell'armadietto.

Fu allora che vidi il tutore nero sul suo polso. Aggrottai le sopracciglia, le narici si dilatarono istantaneamente. Micah le aveva fatto quello? L'avevo fatto io? Ricordavo di averle strappato la mano dalla presa di Micah, ma l'avevo ferita? La rabbia ribolliva nel mio petto. Lei si guardò intorno nel corridoio con nervosismo mentre le mie gambe mi portavano da lei.

"Il tuo polso," brontolai.

Lei trasalì leggermente alla mia voce. Dio, ero un idiota.

"Um..." Le narici si dilatarono mentre espirava e i suoi occhi marroni lasciarono i miei per concentrarsi sul suo polso coperto, "È... è solo slogato."

"L'ho fatto io?" Stringevo la mano sulla cinghia dello zaino, occupando le dita. Non volevo sembrare un pasticcione. Non davanti a lei.

Lei increspò le labbra, aggrottando leggermente le sopracciglia, "F-forse?"

Sussultò, i suoi occhi seguirono la mia mano mentre le afferravo il polso. Avevo lavorato così duramente per un anno per tenerla lontana da me. Sapevo che non avevo altro da offrire se non dolore e sofferenza. Cazzo. Le avevo appena parlato.

"Umm," Mi guardava con occhi spalancati, le labbra socchiuse e le guance di un bel rosa.

La sua pelle era morbida, e aveva un profumo così buono. Come una dolce pesca. I suoi occhi seguivano le linee del mio viso, concentrandosi sulla macchia bianca sul mio sopracciglio.

"Kian?"

Serrai i denti, il suono del mio nome sulle sue labbra minacciava di far crollare il mio autocontrollo.

"Mmm?" Fu l'unico suono che riuscii a emettere.

"La-mia mano?" Sussurrò.

Avevo ancora il suo polso nella mia mano, le sue dita sfioravano la mia guancia e il suo palmo sfiorava le mie labbra.

Annuii, lasciando andare la sua pelle, "Mi dispiace di averti fatto male."

Agrottai le sopracciglia, il fatto che avessimo scambiato solo poche parole e lei già mostrava un'infortunio causato dal mio tocco mi dava molto fastidio.

Premette il palmo contro il petto, la lingua le sfuggì dalla bocca per leccarsi le labbra.

"Va-va bene. Mi hai salvato," ridacchiò dolcemente, il suono era ipnotizzante.

Non potei fare a meno di sorridere per la battuta involontaria. Pensava che fossi il suo salvatore? Cambierebbe idea in un secondo se mi conoscesse davvero. Annuii, girandomi per andarmene.

"Ci-ci vediamo in classe?"

La speranza nella sua voce mi fece quasi crollare, "Sì."

Mi schiarii la gola, la voce incrinata, colpendomi di sorpresa. Mi offrì un sorriso, mettendosi i capelli dietro l'orecchio e allontanandosi nella direzione opposta.

Mi appoggiai al muro, gettando la testa all'indietro mentre cercavo di riprendere il controllo. Cosa mi era preso? Avevo davvero parlato con lei? E poi l'avevo toccata? Ero in modalità pilota automatico. Qualcuno stava controllando il cervello inutile nella mia testa. Mi schiacciai le nocche, il suono della campanella di avviso di cinque minuti risuonava nelle mie orecchie.

"Ciao Kian."

Abbassai la testa, scrutando la rossa davanti a me, i suoi occhi verdi brillavano e sorrideva dolcemente. Grugnì soltanto, staccando la spalla dal muro per dirigermi verso la classe.

La prima metà della giornata fu monotona, stancante. Gli insegnanti mi guardavano scettici mentre entravo nelle loro classi. Mi sedevo sempre in fondo a ciascuna, nessuno che mi guardava, nessuno che si sedeva accanto a me.

Preferivo stare da solo, tutto il mio essere ancora troppo segnato dalle ferite che l'anno passato mi aveva inflitto. Sapevo che la gente ne parlava, ma qualcosa mi diceva che nessuno raccontava la vera storia.

A volte mi sembrava di essere l'unico che sapeva davvero cosa fosse successo. Beh, io e Kevin. Eppure, la realtà che vivevo era così diversa da quella di tutti gli altri.

Specialmente Inesa. Lei non apparteneva al mio mondo. Per tutto il giorno, non riuscivo a pensare ad altro che alla pelle morbida del suo palmo sulle mie labbra. Volevo baciarla lì, baciare ogni dito, baciare il suo polso dolorante.

Perché stavo lontano?

Ah già, ero un casino totale. Qualcosa dentro di me, però, mi diceva che non sarei riuscito a stare lontano ancora a lungo. Avevo dato al mostro dentro di me un assaggio della sua voce, e non sarebbe stato soddisfatto finché non l'avesse sentita di nuovo.

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