Capitolo 4
Non riuscivo a dormire. Dopo tutto quello che era successo, era difficile. Era la prima volta da anni che mi sentivo emotivamente esausta. Perché quel giorno erano successe un sacco di cose, alcune che non riuscivo nemmeno a elaborare o a capire. Come quel tipo, Axel.
Cercai di non pensarci, ma continuai a rigirarmi nel letto per tutta la notte. Così, a mezzanotte, mi alzai, mi avvolsi in una vestaglia senza preoccuparmi di mettere l'intimo — sì, dormo nuda, e allora? — e uscii dalla stanza a piedi nudi.
La villa era nuova, perciò era come un labirinto, e non avevo idea di dove stessi andando. Vagavo senza meta, cercando di schiarirmi la testa pesante.
La villa era silenziosa, di un silenzio quasi spettrale, e l'unico rumore che si sentiva era quello dei miei piedi nudi sul pavimento di marmo.
Ma poi si aggiunse un altro suono, un gemito, basso e profondo. Mi fermai, in ascolto, e quando non sentii più nulla stavo per rimettermi a camminare. Invece il suono si ripeté, questa volta un po' più forte.
Qualcuno stava soffrendo? Era ferito? Le gambe si mossero da sole, portandomi verso il rumore. Mi fermai davanti a una stanza e, siccome la porta era socchiusa, sbirciai dentro.
All'interno era buio, l'unica luce era quella della luna che filtrava dalla finestra, eppure in qualche modo riuscii a vederlo chiaramente.
Axel. Nudo, il corpo asciutto e muscoloso che luccicava di sudore, seduto su una sedia con le gambe divaricate e il cazzo duro in mano. Il pugno chiuso si muoveva su e giù, forte e veloce.
Era buio, non era facile vedere, ma riuscivo comunque a distinguere ogni singolo dettaglio con una chiarezza tale che sembrava proiettato su un maxischermo. Il modo in cui il suo corpo brillava di sudore, i suoi addominali che si contraevano e si flettevano, il bicipite che si gonfiava mentre si masturbava. E il suo viso... l'estasi e il piacere così evidenti sulla sua faccia erano così... belli da guardare.
Il mio corpo si surriscaldò mentre lo osservavo darsi piacere, ma non era il solito calore della rabbia, bensì l'inebriante calore del desiderio.
Axel gemette, un suono rauco e profondo, e capii che era vicino.
«Ah, cazzo,» ansimò, la mano sempre più veloce. «Cazzo, cazzo, cazzo. Rosette... ci sono quasi.»
Mi irrigidii completamente, paralizzata, sgranando gli occhi.
«Rosette,» mormorò di nuovo il mio nome, e se anche avessi voluto negare di aver sentito male prima, adesso non c'erano più dubbi.
Avevo sentito perfettamente. Si stava masturbando pensando a me. Avrei dovuto sentirmi disgustata, invece provai solo un'intensa lussuria, così improvvisa da lasciarmi senza fiato.
Sentii un'umidità formarsi tra le gambe e, dato che ero nuda sotto la vestaglia, mi bagnai il tessuto. Avrei dovuto smettere di guardare, andarmene e lasciargli la sua privacy, ma le gambe erano incollate al pavimento. Volevo vederlo finire.
Non riuscivo a muovermi, con gli occhi fissi su quell'uomo bellissimo e fuori controllo. Volevo toccarmi, alleviare quel calore che cresceva dentro di me. Volevo solo...
«Passi le tue notti a guardare la gente che si masturba?»
Sobbalzai, spaventata, e mi voltai per vedere un uomo in piedi dietro di me. Era così vicino che la mia faccia sbatté contro il suo petto, il suo petto nudo.
Trassi un respiro e indietreggiai, ma poi mi ricordai che avrei potuto urtare la porta e avvisare Axel della mia presenza. Prima che potessi commettere quell'errore, però, lo sconosciuto mi afferrò per un braccio e mi tirò a sé, girandomi e premendomi contro la parete opposta, proprio di fronte alla porta di Axel, da dove lui avrebbe potuto vederci da un momento all'altro.
Cominciavo a essere davvero stufa di farmi bloccare contro il muro dagli uomini. Ma a differenza di Axel, questo sconosciuto non si strusciò contro di me; si limitò a tenermi le braccia sopra la testa e a osservarmi.
Ormai era buio. Nel corridoio non c'erano finestre, quindi la luna non poteva filtrare fin lì, e non riuscivo a distinguere il suo volto.
«Puoi lasciarmi andare?» chiesi in un sussurro. Stava diventando la frase che usavo più spesso.
«Tu sei Rosette» disse lo sconosciuto. La sua voce era morbida, ma con una nota roca, e il suo fiato mi sfiorava le guance.
«Sì, sono io. Adesso lasciami.»
«Ti è piaciuto guardare Axel che si masturbava pronunciando il tuo nome?»
Il viso mi andò a fuoco e fui grata che fosse buio, così non poteva vedermi.
«Smettila di dire idiozie e spostati.»
«Sei bagnata lì sotto, Rosette?» domandò, con la voce che era una carezza profonda.
Doveva essere per forza uno dei fratelli Varkas. Ma quanti figli aveva quell'uomo? Ero già stufa di tutti loro.
«Vuoi...»
«Sento quanto sei eccitata» gemette, interrompendomi, e anche se non potevo vederli, sentivo i suoi occhi bruciarmi addosso. «Ne sento l'odore.»
«Sei un cazzo di cane» borbottai, cercando di liberare le mani dalla sua presa ferrea. «Come tuo fratello.»
«Sono peggio, tesoro» mormorò, chinandosi e annusandomi proprio come aveva fatto suo fratello. E, come lui, gemette, inspirando profondamente. «E ti lascerò andare, solo per questa volta. Non mi piace essere paragonato a un cane.»
Smisi di dibattermi e rimasi immobile. Non serviva a niente lottare. Dalla breve esperienza avuta poco prima con Axel, avevo imparato che era inutile opporre resistenza; non avrebbe fatto altro che eccitarlo di più.
«Ti prego, lasciami andare» riuscii a dire, cercando di addolcire la voce.
«Mmm.» Strofinò il naso sul mio collo e inspirai bruscamente. «Hai un profumo così buono, Rosette. È per questo che nostro padre ti ha portata qui? L'odore della tua eccitazione e il tuo profumo naturale mi stanno facendo un certo effetto. Cose che pensavo di non poter più provare.»
Cosa voleva dire? Perché suo padre mi aveva portata lì? Prima che potessi anche solo formulare la domanda o un altro pensiero, lui si mosse, premendosi lentamente contro di me, come per darmi il tempo di elaborare la cosa o di allontanarmi. Non capivo quale delle due.
Ma non mi scansai, perché ero paralizzata da quanto fosse duro e caldo. E stavo ancora cercando di capire cosa stesse succedendo. In meno di un giorno, nella mia presunta nuova casa, ero stata bloccata contro il muro da due uomini che avrebbero dovuto essere i miei fratellastri.
Quindi sì, stavo facendo una fatica tremenda a elaborare il tutto.
«Rosette» sussurrò con voce seducente, strappandomi ai miei pensieri. «Sei lontana. Ho bisogno che la tua attenzione sia tutta per me.»
Sbattei lentamente le palpebre verso di lui, anche se non potevo vederlo. Dove altro poteva essere la mia attenzione? Visto che aveva invaso completamente il mio spazio personale e mi stava... facendo delle cose.
«Ecco, così.» La sua mano strinse più forte la mia, poi si mosse, infilando una coscia tra le mie gambe — direttamente sotto la vestaglia — e cominciò a muoversi.
