Capitolo 6
Mi appoggiai con la schiena alla porta della mia stanza, respirando affannosamente, con le gambe che mi tremavano.
Era… era una follia, era troppo, e volevo andarmene. Volevo prendere la borsa e andarmene via in questo preciso, fottuto istante.
Il cuore mi batteva all'impazzata per un'emozione che non avevo mai provato prima: la vergogna. Mi bruciava, mi faceva girare la testa e mi dava la nausea. Lanciai la vestaglia sul pavimento e mi diressi verso il bagno, lottando per restare in piedi.
Aprii la doccia e non aspettai nemmeno che l'acqua si scaldasse, entrai e basta, rimanendo senza fiato quando il getto freddo mi colpì la pelle, pungendola. Ma accolsi quel freddo con sollievo.
Dovevo darmi una regolata se speravo di non impazzire. I fratelli Varkas non erano sani di mente — forse Kross un po' sì — e se li avessi assecondati, avrei rischiato di unirmi alla loro follia. Non l'avrei fatto.
Avrei mantenuto la calma, come facevo da anni. Niente avrebbe cambiato le cose, proprio ora.
Un colpo alla porta mi strappò da un sonno di cui avevo un disperato bisogno. Grugnii contro il cuscino, sprofondando ancora di più nel letto. Bussarono di nuovo e non ebbi altra scelta che alzarmi.
Andai ad aprire con gli occhi quasi chiusi. Davanti a me c'era una domestica, con la testa china e le mani giunte.
«Buongiorno, signorina» mi salutò a bassa voce, con lo sguardo ancora fisso sui miei piedi. «Il signor Varkas le ha chiesto di unirsi a loro per colazione.»
La guardai, poi girai la testa verso l'orologio nella mia stanza. Tornai a guardarla. «Non sono neanche le sette.»
Lei annuì, come se mi capisse. «In questa casa la colazione si fa molto presto, signorina.»
Sospirai e mi stropicciai gli occhi per scacciare il sonno. «Grazie. Scendo tra un attimo.»
Annuì e si allontanò. Chiusi la porta, sospirando mentre andavo in bagno. Credo che sarebbe stato difficile rimanere sani di mente.
Venti minuti dopo, scesi le scale, già sudata al pensiero di come avrei trovato la sala da pranzo, ma c'era già qualcuno ad aspettarmi per accompagnarmi.
Quando misi piede nella sala, mi bloccai, sgranando leggermente gli occhi. Erano tutti vestiti di tutto punto — ah, e c'erano anche i fratelli. Tutti e tre. Che fortuna.
E non parlo di abiti casual, carini, ma di completi a tre pezzi, con tanto di cravatta. C'era anche mia madre, con un elegante abito rosso e i capelli perfettamente acconciati.
Erano a malapena le sette, per l'amor del cielo! In che inferno mi ero svegliata?
Non mi avevano ancora notata, così abbassai lo sguardo sui miei pantaloncini e la mia maglietta, abbinati a uno chignon disordinato, e valutai se tornare a cambiarmi. Ma prima che potessi prendere una decisione, il signor Varkas alzò la testa e i suoi occhi si posarono su di me.
«Oh, eccoti» disse, e tutti gli sguardi si puntarono su di me.
A disagio. Non mi ero mai sentita così prima. Ero sempre stata sicura di me, della mia bellezza. Alta, formosa, con capelli rossi naturali che la gente aveva sempre invidiato. Sapevo di essere bella, ma non avevo mai usato quella bellezza per alcunché. Ora, però, sentendo addosso gli occhi di quelle persone così ben vestite e impeccabili — inclusa mia madre — mi sentivo brutta e sporca.
«Uhm…» Mi schiarii la voce e mi avvicinai al tavolo, cercando di sembrare indifferente agli sguardi puntati su di me. «Buongiorno.»
«Tesoro, ma dove vai vestita così?» Ovviamente, doveva chiederlo. Alzai la testa e incrociai lo sguardo di mia madre.
«È colazione» le risposi, ogni traccia di imbarazzo svanita alla vista della sua irritazione. «Non è una cena di gala per cui mi debba mettere in ghingheri.»
L'irritazione le balenò negli occhi, ma riuscì comunque a mantenere un'espressione gradevole.
«Lasciala stare, Vera» disse il signor Varkas, piegando il giornale e mettendolo da parte. Si rivolse a me con un sorrisetto. «Com'è andata la prima notte nella tua nuova casa?»
Repressi l'istinto di guardare verso i suoi figli, di cui sentivo ancora gli occhi bruciarmi addosso. Riuscii a tirare un piccolo sorriso, che probabilmente sembrava scolpito sul mio viso. «Piacevole.»
Tutt'altro che piacevole, ma non era necessario che lo sapesse nessuno.
Il signor Varkas annuì e riprese in mano il giornale. E così, fui congedata.
La cosa non mi dispiacque affatto e mi riempii semplicemente il piatto.
A metà di quella colazione silenziosa e tesa, sentivo ancora degli sguardi su di me. Non potei più resistere, dovevo guardare. Alla fine alzai la testa e, seduti proprio di fronte a me, c'erano tutti e tre i fratelli Varkas.
Come facevo a sapere che fossero solo tre? Be', il quarto sarebbe stato qui, no?
I loro occhi disumani erano tutti puntati su di me, e io li ricambiai uno a uno. Kross mi osservava con un'espressione vuota, come se stesse cercando di valutarmi. Axel aveva un leggero sorriso mentre mi guardava con un'aria... sognante. E Kade...
Aspetta, Kade. I miei occhi scattarono su di lui, incrociando i suoi, spaiati.
C'era luce ovunque e finalmente vidi il suo viso. Ma perché diavolo questi uomini dovevano essere così belli? Non era giusto.
Come i suoi fratelli, anche Kade era stupendo, troppo bello per essere vero. Aveva lunghi capelli neri raccolti in uno chignon molto più ordinato del mio, e i suoi occhi... I suoi occhi erano la sua caratteristica più unica. Erano spaiati. Quello destro era blu oceano, l'altro grigio tempesta.
A dir poco sbalorditivo.
«Ti piace quello che vedi?» domandò, dato che continuavo a fissarlo, la sua voce morbida ma roca come la notte precedente.
Inclinai la testa, alzando un sopracciglio. «Forse.»
La sua espressione rimase impassibile, ma qualcosa guizzò tra i suoi occhi. A vederlo in piena luce, non si sarebbe mai detto che fosse l'uomo che mi aveva tenuta bloccata contro il muro, facendomi tremare di piacere. Era proprio come lo aveva descritto Axel: un bastardo freddo e senza cuore. Ma a differenza di Kross, che era di ghiaccio, lui era semplicemente... gelido.
«Stai dando a lui tutte le tue attenzioni e io sono geloso.»
Finalmente riuscii a distogliere lo sguardo da Kade e i miei occhi si posarono su Axel, che stava... mettendo il broncio. Stava davvero mettendo il broncio come un dannato bambino.
«C-cosa?» chiesi, guardando suo padre, ma la sua attenzione era ancora rivolta al giornale. Guardai mia madre e lei fissava il suo piatto con un'aria pensierosa.
Axel catturò di nuovo la mia attenzione quando parlò. «Ti piacciono davvero i bastardi freddi, Rosette? Voglio dire, sembri il tipo, ma sul serio?»
Gli lanciai un'occhiata piatta. «Non mi piacciono i bastardi freddi.»
Axel alzò un sopracciglio. «E allora che tipo di bastardi ti piacciono?»
